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Draquila. L'Italia che trema

Regia di Sabina Guzzanti vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Draquila. L'Italia che trema

di ROTOTOM
8 stelle

Sabina Guzzanti a quattro anni dal delizioso e sottovalutato Le ragioni dell’aragosta torna ad occuparsi del suo primo amore: Silvio Berlusconi. E lo fa con un classico documentario di inchiesta alla Michael Moore sulle prove generali di regime che il governo ha sperimentato in campo neutro, o meglio neutralizzato, all’Aquila dall’immediato dopo-terremoto in poi.

Sarebbe molto semplice vestire Berlusconi da pianista o da crocerossino e cominciare a sparargli come nei famosi detti popolari, anzi forse sono proprio i due travestimenti che ancora gli mancano. Invece parlare di Draquila non è affatto semplice, quello che mostra è come si sia sfruttato il terremoto per macinare denaro pubblico grazie agli interventi della Protezione Civile e di come gli aquilani e il loro dolore siano stati usati per una propaganda politica proprio mentre il consenso sul Cavaliere calava drasticamente.

L’attacco è frontale, sprezzante e fortemente ironico. Sabina Guzzanti inizia il suo documentario presentandosi in quella imitazione di Berlusconi che l’ha resa famosa. Prima di lei erano giunti sul luogo del disastro tutti corpi di protezione civile e militare, compresi i Boy Scout e poi attori, giornalisti, G-ottini, clawn, nani, ballerine, calciatori. La sensazione iniziale è che lei sia l’ulteriore rinforzo della lista degli inutili e la retorica monta pericolosamente verso la gratuità di quell’attacco. Poi tutto muta, lentamente, in un film dell’orrore del quale Draquila è il titolo più azzeccato. Succhiare il consenso ad una nazione in coma intellettuale sfruttando il potere dei media, la Protezione Civile braccio armato della conquista del paese grazie al sistema delle deroghe degli “stati d’emergenza” che forniscono denaro pubblico ad imprenditori privati che dovranno ricostruire con gioia e poi la deportazione dei residenti in campi  dai quali non possono uscire, l’abbandono del centro storico della città al suo destino per un malcelato interesse alla ricostruzione ex novo impersonale ma dall’immagine mediatica vincente piuttosto che impegnarsi a riparare il cuore della città. La colpevole mancanza di prevenzione e la criminale disinformazione sul rischio terremoto, ampiamente documentato. L’identità degli Aquilani stravolta e usata senza alcun rispetto. C’è da dire che la Guzzanti è coraggiosa assai a sostenere tesi di tale impatto, esce addirittura dal contesto del terremoto dell’Aquila per seguire la pista delle corruzioni, dei soldi pubblici versati a imprenditori privati per poi ritornare in Abruzzo portando i risultati del girovagare per leggi, decreti, appalti ed applicarli alla fortunata disgrazia aquilana. I terremoti non sono come i vigili urbani che non ci sono mai quando servono.

Il terremoto dell’Aquila è arrivato al momento giusto e nel posto giusto.

Il documentario è ottimo, girato con il consueto disincanto ironico della Guzzanti, attrice di satira e imitatrice prestata al giornalismo d’inchiesta per pura necessità morale e per questo le si perdona qualche forzatura retorica non necessaria. Affiora un sospetto però, che valore ha una controinformazione costruita sulla disinformazione? Esattamente come il filmato di propaganda deforma la realtà riprendendo solo ciò che serve e nel modo in cui serve a veicolare il messaggio anche la controinformazione dopo tutto fa lo stesso. Il valore di una testimonianza di un terremotato con la casa nuova vale quanto quella del terremotato sfrattato dalla tenda perché l’emergenza è finita e se ne deve andare. Le case ci sono dicono, non per tutti si ribatte. Abbiamo ricostruito si dice, si spendeva meno a riparare le case lievemente danneggiate senza deportare nessuno si risponde. I cestelli porta ghiaccio per lo champagne Silvio con lo stemma della Protezione Civile, una specie di stella a tre punte intrecciate,  campeggia anche sui giacconi impermeabili di Bertolaso e sugli schermi dei congressi autocelebrativi del governo ed è agghiacciante nel suo ricordare certe iconografie di un non lontanissimo passato di dolore. Ma il cestello porta ghiaccio i “salvati” lo conservano come una reliquia, immemori.

Dove sta la verità in un paese sballottato quotidianamente da un’informazione distorta, di parte, addomesticata e vile? Obiettivamente se ci si fermasse a questo tutto l’impianto della Guzzanti cadrebbe in pezzi o resterebbe nel campo delle ipotesi  paranoico complottiste perdendo credibilità. Invece, esattamente come il destino ha dato con l’affare-terremoto,  altrettanto toglie con la medesima leggerezza e la realtà si prende la rivincita sulle suggestioni  cospiratorie: scoppia lo scandalo degli appalti, il capo della Protezione Civile Bertolaso indagato e poi dimissionario, puttane e favori, costruttori che si fregavano le mani tutti contenti la notte del terremoto. La Guzzanti ha il merito di aver girato tutto prima che lo scandalo montasse per poi farne riferimento in coda al documentario così tutto diventa sinistramente vero. Anche alla luce della verità però Draquila non scompare come nei vecchi romantici romanzi gotici, la frase che chiude il documentario suona come una solenne dichiarazione di resa.

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