Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film
Un bel film sulla crisi. Una crisi economica che si trascina in sé la crisi morale, che già prima c’era. Un film intenso, autentico. Acre. Un film serio e poco retorico, come la migliore tradizione del cinema italiano almeno dagli anni ’50 ai ‘70, quando portava denunce sulla società.
La crisi morale sta in questo: gente nata fra gli anni ’70 e ’90, che è stata illusa dal consumismo, e sempre ha creduto che le cose dovessero andare bene per forza. Una superficialità tipicamente italiana, svenduta per sana spensieratezza, che mostra tutti i suoi limiti quando la vita arriva a proporre i suoi lutti. Il protagonista non è pronto, a pensare che la realtà poteva essere particolarmente difficile; e ne esce solo con l’ausilio della tradizione, della famiglia. E infatti non ne esce, finché e se non prende una posizione seria lui, anche se innegabilmente l’affetto dei familiari lo aiuta.
La crisi economica, invece, nel 2018 non è affatto finita , dopo dieci anni (e otto dopo il film); il film ne mette alla berlina l’orrore del capitalismo nostrano (e non solo nostrano): solo lo sfruttamento, il lavoro in nero e la cancellazione dei diritti possono portare a farsi una posizione e una carriera, a maggior ragione in una congiuntura così tragicamente impoverita, come quella della crisi che stiamo vivendo tutti, seppur a intensità diverse. E, peggio ancora, quei difetti (o meglio, reati) sono indispensabili per avere una tranquillità economica. Deve delinquere l’imprenditore, per risparmiare; ma deve accettare di farsi sfruttare anche il lavoratore, che altrimenti non può sopravvivere.
Germano è strepitoso, come sempre, in una parte difficilissima. Ma tutto il cast lo segue bene, in un film corale dove però la solitudine prevale; o, per meglio dire, prevale il conflitto morale dell’uomo dentro se stesso, che non può essere messo a tacere a buon mercato. Ottima è la sottolineatura, anticapitalista e reale, del fatto che i soldi non comprano la felicità, né risarciscono le ferite: come si vede nel padre, ingenuo, limitato (e ci sta), ma talvolta colpevolmente limitato (del resto si vede che ha orizzonti culturali limitatissimi; e quanti ne abbiamo visti, di studenti lazzaroni che chiedevano solo un pezzo di carta senza fare nulla, salvo poi averne a pentirsi un domani, e magari lo siamo stati anche noi, almeno in parte). Questo padre spera di non far pensare i suoi figli alla perdita della madre, tramite l’acquisto di giochi, di beni materiali. Ma sotto sotto si vede subito che la formula non regge.
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