Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film
Il male di vivere come sostanza criminale, a cui il dolore aggiunge solo rabbia. Daniele Luchetti ci spiega l’Italia di oggi come un paese in cui sbagliare è, semplicemente, un vizio malsano e diffuso, cui ci si abbandona con un misto di rassegnazione e di senso di sfida nei confronti del destino e dell’altrui fortuna. Le legge del più forte è divenuta la legge del più furbo, che è ben più perniciosa, poiché non rispetta le ataviche regole della competizione. La società moderna, più che aggressiva e ingiusta, è subdola e cinica, indifferente ai criteri imposti dalla civiltà, e rispondente solo all’istinto dell'immediata convenienza. Il denaro è il tramite di tutti i rapporti umani, che si esprimono solo in termini di ricatto, favore, frode o baratto. Questo è l’universo in cui il protagonista si ritrova immerso, dopo che sua moglie muore ed i figli vengono affidati ad altre persone. Al di fuori della famiglia basata sull’amore – a cui il film vuole dedicare, nel finale, un pensiero ottimistico, e forse ingenuo – gli uomini sono individui estranei e distanti, legati provvisoriamente solo dalla dipendenza, dalla sopraffazione, dalla paura e dalla necessità. Non c’è valore morale che li unisca o, perlomeno, li induca al reciproco rispetto, ma solo una volontà feroce di sopravvivere e prevalere: è questa che Luchetti sceglie come la materia prima di una nuova, disperata forma di realismo cinematografico, in cui manca totalmente l’antica poesia della miseria popolare, perché quest’ultima è ridotta a fango che si calpesta, a squallore da cui si smania selvaggiamente per uscire. La morte della dignità è il soggetto di questo nostrano requiem for a dream, in cui il rito funebre è celebrato intorno al feretro dell’onorata identità storica di una nazione di lavoratori.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta