Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film
Claudio (Elio Germano) fa il manovale in un cantiere edile, ha due figli piccoli ed un terzo in arrivo, è sposato con Elena (Isabella Ragonese) e insieme vivono sereni accontentandosi di ciò che riescono ad ottenere. Ma la tragedia è alle porte: il parto è per Elena letale, e Claudio si ritrova di colpo solo e con una nuova bocca da sfamare. Il nuovo film di Daniele Luchetti (scritto con Stefano Rulli e Sandro Petraglia, autori tra le altre della sceneggiatura dell'ottimo La meglio gioventù) intende proporre uno spaccato di vita proletaria metropolitana aggiornato all'anno 2010 concentrando l'attenzione sui personaggi prima ancora che sulle vicende in cui sono coinvolti. E la definizione dei caratteri è in effetti plausibile ed attinente, la periferia romana è resa in maniera fedele e priva di orpelli, e i suoi personaggi sono parimenti veri e credibili, a partire dal protagonista, nei panni del quale Elio Germano si cala con un'interpretazione intensa ed oltremodo fisica. E' bravo e in forma Germano, Luchetti lo sa e decide di tallonarlo per l'intera durata della pellicola permettendogli di dominarla: ed è un bel vedere. Va da sé che ai comprimari restano le briciole, sia (per fortuna) al fratello Piero, sfigato e senza lo straccio d'una donna nonostante abbia la faccia spaesata e inadatta al ruolo del bel Raul Bova, sia allo spacciatore in carrozzina Ari impersonato da un discreto Luca Zingaretti.
La descrizione di una generazione cresciuta nel culto viscido del profitto ma costretta a strisciare in una realtà fatta di squallore e miseria, di vuoto morale ed umano cinismo, è resa in maniera esauriente e partecipe. Ma personaggi e contesto giusti da soli non fanno un film, e non lo fa nemmeno un attore in stato di grazia, o per lo meno non possono colmare totalmente il vuoto di una storia striminzita involuta ed indecisa sulla direzione da prendere, che annaspa aggrappandosi al morboso per tutti i (pochi) minuti iniziali che precedono la morte della moglie del protagonista, per assestarsi poi su buoni livelli mostrando la sua reazione fatta di utilitarismo egoismo e fuga dai sentimenti, salvo però crollare rovinosamente sul più bello grazie ad un colpo di spugna che tradisce il realismo fin lì mostrato annacquandolo e ammantandolo di un buonismo fuori tempo e fuori luogo nell'orribile (e frettoloso) finale a tarallucci e vino, con l'effetto ulteriore di destare sospetti sull'onestà dell'intera operazione. Luchetti, da par suo, prova a travestirsi da Loach, ma quei panni gli vanno larghi e dentro ci si perde: abusa di camera a mano e primi piani, imbroccando quello giusto nella toccante scena del funerale, ma apparendo ripetitivo ed inconcludente in altre.
L'impressione, a conti fatti, è che Germano valga più del film stesso che, nonostante mostri qualche buon colpo, si limita a spararlo a salve per non ferire nessuno, e, quel che è peggio, si fa vettore di una morale ambigua che flirta pericolosamente con un qualunquismo tanto ipocrita quanto contagioso. 2 stelle a Luchetti, 4 a Germano.
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