Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film
Film che nel 2010 valse a Elio Germano la Palma d’oro di Cannes, per la sua bella interpretazione. Nonostante gli anni e i difetti, conserva un’insopettata attualità.
Il film racconta la storia di Claudio (Elio Germano), operaio edile alle dipendenze di un palazzinaro che si arricchisce sfruttando spregiudicatamente la manodopera straniera, che fa lavorare in nero.
La vita di Claudio si svolge fra lavoro e famiglia: ama Elena (Isabella Ragonese), la moglie che gli ha dato due bambini e che ora ne attende un terzo.
Tra le cose migliori del film è proprio il racconto della profondità della loro amorosa complicità che i piccoli, amati e voluti, sembrano quasi talvolta disturbare, con la loro presenza ingombrante.
Il terzo parto, purtroppo, era stato fatale per Elena: le era sopravvissuto l’ultimo nato, Vasco.
Nel giro di pochi giorni, Claudio avrebbe dovuto decidere come compensare, nel cuore dei piccini, la perdita dolorosa della madre e lo avrebbe fatto in modo discutibile, con oggetti costosi e inutili gadget, ciò che Elena aveva evitato con cura di dare ai propri figli.
La tenerezza, di cui Claudio aveva dato prova in passato, sembra lasciare il posto a una progressiva desertificazione affettiva, come se la difesa dal dolore avesse dovuto necessariamente passare attraverso al gelo del cuore e a comportamenti discutibili umanamente e moralmente.
Se presto Claudio avrebbe fronteggiato i primi problemi grazie all’aiuto dei fratelli, tuttavia sono ravvisabili, fin dall’inizio del film, le condizioni di debolezza e fragilità che lo avrebbero spinto ad alcune discutibili scelte, come quella di non denunciare la morte di un lavoratore rumeno che lavorava con lui, che rivela un’inclinazione al compromesso non molto onorevole; o quella dell’enfasi rabbiosa con cui, al funerale di Elena, aveva cantato la canzone di Vasco Rossi, che ne rivela il vuoto culturale e l’incapacità di dire, con parole sue, la lacerazione prodotta in lui da questa perdita.
Nell’insieme, la microstoria del film vorrebbe essere emblematica della storia collettiva di tutti noi italiani che, da “brava gente” (?), stiamo diventando sempre più individualisti ed egoisti, sempre meno rispettosi della legalità, riconoscendo legittima solo la solidarietà familiare, avendo da tempo abbandonato l’interesse per le sorti del nostro paese e perciò per la dimensione “politica” del nostro agire.
Sotto quest’aspetto il film è il ritratto – abbastanza impietoso – dell’oggi in cui si muove l’umanità dolente degli immigrati disperati, disposti a farsi sfruttare, ma non a rinunciare alla propria dignità, come ricorderà a Claudio il giovane rumeno che ha perso il padre e che vorrebbe ritrovarlo per onorarlo almeno da morto.
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