Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film
Claudio è un operaio edile, vive insieme alla moglie Elena alla periferia di Roma. Hanno due figli e conducono una vita modesta e dignitosa. Questa appagante normalità viene spazzata via quando Claudio scopre sul cantiere, di cui è supervisore, il corpo senza vita di un operaio clandestino, la cui morte non è stata denunciata. Per paura di perdere il lavoro decide di mantenere il silenzio ma il destino non tarderà la sua vendetta.
La semplice schiettezza che Luchetti utilizza per raccontare un dramma familiare dall’estrema emotività: il dramma degli operai in nero, la sicurezza sul lavoro ma, per il protagonista, la tragica e imprevista morte dell’amata moglie che lo lascia solo al mondo, con tre figli. La fredda reazione di Claudio è talmente eccessiva che da punto di forza si trasforma nel difetto più grande. La rassegnazione di cui l’uomo è vittima di fronte ad un lutto così grave risulta forzata e poco credibile. Di certo più intima e impressionante la reazione verso il figlio nato, causa della morte dell’amata moglie, che Claudio ignora per tutto il tempo. Il piccolo Vasco (perché Claudio ed Elena amano Vasco Rossi), è orfano sia di madre che di padre, che si impone con lui un contatto minimo e distaccato, lasciando margini di riflessione e finendo per essere l’unico elemento che mostra il vuoto che l’uomo si porta dentro e che invece sarebbe dovuto essere il fulcro della narrazione.
Già colma di elementi, sopra elencati, la sceneggiatura invece viene fatta girare attorno alla famiglia. Sia quella d’origine di Claudio, composta ormai solo dal fratello Piero e dalla sorella Liliana, che riescono a tirarlo fuori dai guai senza giudicarlo ne farlo sentire mai in colpa, sia quella da lui costruita e monca della figura che faceva da collante ai colpi di testa di Claudio che in fondo non è altro che un eterno bambino. Padre vedovo sconsiderato che crede di comprare la felicità futura con i soldi e il benessere economico, privando i figli, già orfani della madre, anche del suo supporto, accorgendosi poi solo alla fine che sono altre le cose che contano.
Soffermandosi spesso (forse troppo) sui primi piani, Daniele Luchetti sembra voler carpire ogni battito di ciglia, ogni espressione, eliminando il superfluo intorno, si concentra sui protagonisti e i luoghi passano in secondo piano. Scelta ardua quando hai a disposizione una sceneggiatura così pregna di cose e situazioni. Lo spettatore non ha distrazioni, oltre che non avere ganci emozionali per empatizzare con i protagonisti. Resta quindi in visione, passivo e inerme, vittima di un meccanismo non troppo bene oliato che naufraga le buone intenzioni già dopo la prima mezz’ora.
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