Regia di Xavier Beauvois vedi scheda film
Un bellissimo film, per la regia di Xavier Beauvois, Gran Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2010: ricostruzione di un oscuro massacro avvenuto nel 1996 durante la guerra civile d’Algeria.
Siamo nel 1996, nel pieno della guerra civile d’Algeria.
La vita nel convento di monaci, alla periferia del piccolo villaggio di Tibhirine, proseguiva fra le normali attività quotidiane, ispirate alla regola benedettina del lavoro e della preghiera e portate avanti da un esiguo numero di religiosi, per lo più anziani, in un clima di fraterna solidarietà con gli abitanti musulmani dei dintorni. Luc, il medico frate, ora vecchio e malato, li curava, per puro spirito d’amore e di carità, altri confratelli si rendevano utili nella coltivazione dei campi, altri raccoglievano il miele e lo vendevano sul mercato, mentre Christian (Lambert Wilson), più giovane e mistico, leggeva e annotava il Corano, comprendendo molto bene che una sua corretta interpretazione non avrebbe potuto che indurre al rispetto delle differenze reciproche fra Islam e Cristianesimo, culture di pace.
Quando la guerra civile fra moderati e integralisti si farà sentire nel villaggio e lambirà il convento, sarebbero state proprio le parole del Corano pronunciata da Christian e proseguite dal feroce guerrigliero (bellissima e toccante scena del film) ad allontanare, almeno per il momento, il pericolo per i monaci.
Il convento, però era ormai individuato come luogo per curare i feriti: proprio a Luc sarebbe stato portato il guerrigliero ferito e sofferente scatenando la diffidenza delle autorità militari algerine, al governo in seguito al colpo di stato del 1991.
I monaci non accolsero né l’invito ad accettare il presidio del convento da parte dell’esercito, né la perentoria intimazione a lasciare il paese alla volta della Francia, perché, proprio nel momento di maggior rischio, tutti ritrovarono le irrinunciabili ragioni che li avevano indotti ad amare la terra di Algeria e il suo popolo, con il quale essi decisero di condividere rischi e paure.
Le pagine più belle del film, si trovano, a mio avviso, nella rappresentazione della fragilità umana, dei dubbi e delle esitazioni dei monaci, che sono uomini e non dei, e perciò temono il dolore e la morte, come tutti. All’ elicottero minaccioso e assordante, non potranno che opporre i loro canti e la loro preghiera; all’avvicinarsi dell’ultima ora di libertà, opporranno una sobria cena, con due belle bottiglie di un buon rosso francese, e l’accompagnamento di una suggestiva pagina dal Lago dei cigni.
Bellissimo e toccante il finale, con l’immagine del loro disperdersi nel nevischio che a poco a poco li avrebbe sottratti alla vista dello spettatore, nel gelo dell’inverno e del cuore del carnefice.
Uomini di Dio, il titolo italiano del film - diverso dall’originale Les hommes et les dieux - sembra quasi alludere a una contrapposizione, che nel film è inesistente, fra gli sventurati monaci trappisti, qui rievocati, e i musulmani che vivevano a ridosso del convento: non esistono in questa pellicola uomini di Dio che cercano di opporre la propria fede a quella di altri uomini, ma come ci ricorda anche il testamento di Christian*, il priore intellettuale del gruppo, un solo Dio è padre di tutti gli uomini, ognuno con la propria visione del mondo: coloro che non lo capiscono non sanno quello che si fanno.
L’assassinio dei sette monaci, d’altra parte, non fu mai pienamente chiarito, né l’abolizione del segreto di stato ha potuto escludere un ruolo attivo dell’esercito governativo algerino nel massacro, né dei Servizi segreti, ciò che lascia intravedere ragioni politiche, non religiose, dietro l’orrendo massacro.
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*Il testamento di Christian è stato raccolto e pubblicato dai monaci della comunità italiana di Bose, in un volumetto dal titolo: Più forti dell’odio.
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