Regia di Xavier Beauvois vedi scheda film
In un piccolo paese situato tra i monti dell’Algeria c’è un monastero dove vivono in preghiera otto monaci cistercensi di origine francese : Christian (Lambert Wilson), Luc (Michael Lansdale), Christophe (Olivier Rabourdin), Célestin (Philippe Laudenbach), Amédé (Jacques herlin), Jean-Pierre (Loic Pichon, Michel (Xavier Maly), Paul (Jean-Marie Frin). Questi vivono in perfetta armonia con la popolazione di religione musulmana, pregano insieme ed insieme si scambiano aiuti. Questa pace comunitaria viene sconvolta dall’incedere violento dell’integralismo religioso che fa piombare il paese in una cruenta guerra civile. I monaci sono un obiettivo sensibile, come cristiani e in quanto francesi, e le autorità li invitano di tornarsene in Francia. Soprattutto dopo che hanno saputo che il leader terrorista Ali Fayattia (Farid Larbi) si è recato al monastero per chiedere ed ottenere delle cure mediche. I dilemma se partire o meno attanaglia i monaci, che alla fine decidono di restare accanto ai fratelli musulmani e rimanere fino in fondo se stessi : uomini di Dio che non intendono sfuggire al destino che si sono scelti.
“Uomini di Dio” di Xavier Beauvois è un film che tende a farci ricordare almeno due cose : primo, che l’uomo è al di sopra di ogni forma di pregiudizio ; secondo, che la fede in un unico Dio è una cosa possibile solo se c’è la volontà di riconoscersi come figli diversi di un unico padre. Il film è liberamente ispirato alla vera storia dei sette monaci di Tibhirine brutalmente uccisi nel 1996 da un gruppo di terroristi islamisti. Xavier Beauvois non segue fedelmente l’evolversi esatto della vicenda, ma l’assunto verista di quella triste storia ci viene restituito per intero attraverso la rappresentazione fedele della morte gratuita della bontà, un inno alla tolleranza tra i popoli soffocato con le armi dal fanatismo fondamentalista. In un modo encomiabile a mio avviso, senza scadere nella retorica di maniera e neanche nel tranello ricattatorio dei buoni sentimenti smerciati a gratis. Ma conservando un rigore stilistico che alterna efficacemente il momento della mistica religiosa con le riflessioni sull’esistenza umana che possono prescindere dalla professione di qualsiasi fede.
Religione e politica si mischiano in questo film percorso da una calma tragica impossibile da scalfire, in un connubio che alterna senza soluzione di continuità istanze dello spirito e urgenza dell’azione, fede nella missione e pratica consapevole del magistero. La macchina da presa fissa con precisione “bressoniana” la vita del monastero, fino a far emergere come protagonista incontrastata la fede inossidabile dei monaci, una fede che non vuole cedere al ricatto della paura e alle pressioni autoritarie esercitate da chi detiene il potere. Una fede che unisce in nome di una stessa pulsione spirituale cattolici e musulmani, che pregano insieme, in una sorta di litania estemporanea che associa senza remore i segni distintivi di entrambe le religioni. Xavier Beauvois è stato particolarmente bravo nel far rimanere sullo sfondo tutte quelle questioni politiche che mortificano sul nascere ogni cristiano tentativo di mettere l’essere umano al centro dell’universo mondo. Da un lato, ci sono le laceranti divergenze in seno all’ Islam, che in questo microcosmo si traducono nel conflitto “ideologico” tra chi recita il Corano ricordando che “chi uccide un fratello è contro Dio”, e chi segue la via del terrorismo come prepotente strumento di religione. Dall’altro lato, c’è l’endemica questione coloniale, che rimane un importante elemento detonatore nelle faide intestine in terra d’Algeria, sufficiente per rendere i poveri monaci invisi alle autorità locali, sia perché cristiani da proteggere dal fanatismo jihadista, che in quanto francesi e quindi visti come la matrice primaria delle loro perduranti contraddizioni.
La felice comunione tra i monaci e gli abitanti del luogo è stata resa possibile semplicemente perché ognuno di loro vive senza superbia la propria fede, partendo dal dare importanza alle debolezze che sono proprie di tutti gli esseri umani, dall’aiuto disinteressato che si può offrire a chi è in difficoltà. “Accettare la nostra impotenza, la nostra povertà radicale, è un invito, un appello pressante a non creare con gli altri delle relazioni di potere. Conoscendo la mie debolezza posso accettare quella degli altri e vederla come una richiesta di sostegno, un invito a farla mia, ad imitazione di Cristo. Questo atteggiamento ci trasforma in vista della missione”. Queste parole, recitate dai monaci durante uno dei quotidiani momenti di riflessione spirituale, segnano la dedizione alla vita che si sono scelti, il loro saper riconoscere l’uomo oltre gli interessi di parte, il cammino da intraprendere oltre le spigolosità contingenti. Una scelta che è quanto serve per farli sentire simili ai propri vicini e che viene messa in crisi dall’approssimarsi di un pericolo imminente, inducendoli a riflettere con rinnovata consapevolezza sulla consistenza della loro missione di fede alla luce di queste “nuove guerre di religione”. “Spesso nella mia vita mi sono chiesto come può Dio agire in modo così strano : perché rimane così a lungo in silenzio ? Perché la fede è anche lei amara ?”, leggono ancora i monaci ricordando le parole di Carlo Carreto, un mistico italiano. Il silenzio di Dio appunto, la sua assenza dai teatri di guerra, che in loro non si traduce affatto nella messa in discussione della propria professione di fede, ma nel tentativo di metterla in continua relazione con gli scenari cruenti che si addensano all’orizzonte. È una nuova prova questa che sono chiamati a svolgere, con l’uomo sempre al centro dello scenario, con le sue debolezze, i suoi peccati, le sue contraddizioni, la sua sete di potere e di autorità, che alimentano odi e rancori. Una prova che li logora nel profondo, portandoli a dover decidere se rimanere o meno al monastero subito dopo la prima visita “in armi” di Ali Fayattia nel giorno della vigilia di natale. Non è vigliaccheria la loro, e neanche un venir meno dello spirito della loro missione, ma umana paura di morire, che riguarda anche persone come loro, dotati di una fede incrollabile che rifugge il martirio. Il pericolo di morire è una cosa concreta ed imminente, ne sono perfettamente consapevoli, ma decidono tutti di rimanere quando iniziano ad arrivare pressioni dalle autorità locali e scoprono che l’esercito risponde al sangue con altro sangue. Ovvero, quando capiscono che c’è un unico male da doter combattere per uomini di fede come loro : quello che offende in ogni momento e sotto diverse forme quella pratica della compassione che ogni essere umano dovrebbe poter esercitare nei riguardi di un suo simile. In quel preciso contesto, fuggire significherebbe prendere una posizione, fare una scelta di campo, quando loro hanno scelto di essere altro e stare oltre : con l’ uomo attraverso Dio e non per Dio sopra gli esseri umani. Hanno paura, ma scelgono coscientemente di rimanere uomini di Dio, nonostante tutto. La loro forza risiede nella preghiera e nella costanza che impiegano nel fare quotidianamente tutte le cose che li tengono occupati, con l’abnegazione e l’umiltà di sempre. Quelle cose che gli hanno consentito di vivere in armonia con i vicini musulmani, di riconoscersi e piacersi semplicemente comunicando. C’è una sequenza assai bella ed emblematica che illustra molto bene questo stato di cose ed è quando alcuni monaci confidano a degli amici di sentirsi come degli uccelli sui rami e di non sapere se volare via o rimanere. “Gli uccelli siamo noi, il ramo siete voi. Se ve ne andate dove ci poseremo ?” , risponde loro una donna. Parole semplici, che insieme alla forza evocativa esercitata dal cinema, bastano a sancire con solenne efficacia la fratellanza tra i popoli. Così come quelle pronunciate dalla voce off di Padre Christian nel finale del film quando, in una sorta di sereno commiato dalla vita, ringrazia tutti “gli amici di ieri e di oggi. E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non sapevi quello che facevi. Si anche te, voglio che questo grazie e questo a(d)Dio comprendano anche te. E che ci sia permesso di ritrovarci ladroni felici in paradiso. A Dio piacendo, nostro padre, padre di entrambi. Amen, Inshallah”. Parole religiosissime che emanano una potenza laica vertiginosa. Cinema importante da promuovere senza indugi.
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