Regia di Xavier Beauvois vedi scheda film
Ci sono festival dove da qualche tempo se non ti chiami Apichatpong Weerasethakul o se non sei nato a Taiwan o se non dirigi film da orchite non hai nessuna possibilità di vincere un premio. Questi festival sono quelli di Cannes e di Venezia. Appartiene alla terza categoria questo Uomini di Dio - insignito per l'appunto con il Gran Premio della Giuria in occasione del massimo festival cinematografico di Francia - che racconta lo sterminio perpetrato ai danni di alcuni monaci trappisti nel 1996 da parte dei mujahidin maghrebini. Storia vera e intenti encomiabili, per carità, se non fosse che il racconto, a metà strada tra Il grande silenzio (per come racconta il quotidiano dei religiosi) e La parola ai giurati (per come mostra il progressivo cambiamento di atteggiamento nel dubbio tra andarsene o restare nel monastero dopo le ripetute minacce subite), è inerte, gronda retorica in ogni scena, insiste fino allo sfinimento sulle riprese della vita comunitaria, mentre lo sguardo filmico va alla ricerca fine a sé stessa di una cifra autoriale (ricordando il nostro Piavoli). Al regista va riconosciuto il merito di essere riuscito a offrire un limpido messaggio sulla tolleranza, di non aver ceduto ad alcuna tentazione voyeuristica (il martirio dei frati viene soltanto evocato in un'immagine suggestiva e nebbiosa) ma a fronte di questo al film manca la capacità di far vibrare le corde emotive, con risultati lontanissimi da quei thriller dell'anima di ambientazione monasteriale come Il nome della rosa, Magdalene o In memoria di me.
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