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Outrage

Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film

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La recensione su Outrage

di ed wood
6 stelle

Il Takeshi imprescindibile di "Sonatine" e "Dolls" è solo un ricordo, indelebile, di uno o due decenni fa. Da tempo, il mitico Beat si dedica all'auto-referenzialismo, ossia all'ironia, al gioco, allo scherzo, come chiunque non abbia più niente da dare (e da chiedere) all'arte (e al mondo). Secondo la critica, "Outrage" segnerebbe un ritorno ad un cinema "vivo", propositivo di forme e contenuti, forte di un radicamento in quello "yakuza-movie" che è stato il punto di partenza del cine-percorso kitaniano. in realtà, "Outrage" è solo l'altra faccia della medaglia della deriva post-Dolls. Quest'ultima mascherava con l'auto-ironia un nichilismo di fondo, che poi è la componente fondamentale di tutta l'opera del nostro, per quanto riscattato dalla bellezza di una forma cesellata da inquadrature di asciutta poesia, un montaggio che bressonianamente mostra prima gli effetti e poi le cause degli eventi, una malinconia diffusa e l'immacolato splendore di improvvise epifanie cromatiche. In "Outrage", tutta questa Bellezza non c'è più. E dello humour giocoso è rimasto solo qualche sprazzo (gli improbabili siparietti con l'ambasciatore gaboniano, metafora della sconfitta di democrazia e civiltà sotto il giogo di un sistema-mondo, quello mafioso, che pare essere l'unico possibile). Tutto è grigio, asettico, "brutto". Il teatro in cui si inscena questa "meccanica del crimine", questo gioco di strategia dove la convenienza economica è il fine unico di ogni azione, è simile ad un ufficio di una multinazionale. E le dinamiche relazionali fra i vari gradi della gerarchia sono pari pari quelli che si instaurano fra i differenti livelli di una normale organizzazione aziendale. E se la poetica è puramente nichilista (ossia: non esistono alcun senso e alcuno scopo in questo mondo, se non un naturale istinto di sopravvivenza, regolato dal binomio denaro/violenza), l'estetica è quella della "indifferenza". Se fino a "Dolls", l'inventiva formale faceva da contrappunto alla sequenza di omicidi e mutalazioni, ora si può dire che anche l'estetica sia stata "dominata" dal nulla esistenziale. In poche parole, mancano in "Outrage" immagini poetiche e creative: anche le scene clou, come l'escalation sanguinaria degli ultimi 20 minuti, sono girate senza guizzi, senza prospettive insolite, senza quelle sintesi fulminanti a cui Takeshi ci aveva abituato. Inquadrature "qualunque", montaggio scontato. "Una sconfitta è sempre una sconfitta", poco importa se si muore o ci si arrende: questo scrollo di spalle è la dichiarazione di poetica/estetica definitiva di Kitano. "Outrage", anche per come fa combaciare yakuza e polizia, pare una versione laconica e minimalista del "Departed" scorsesiano. O anche un Peckinpah del tutto prosciugato da ogni residuo elegiaco, nostalgico e romantico. Con "Outrage" si comprende che Kitano aveva ancora un'ultima cosa da dirci sulla condizione umana e l'ha fatto prima dei titoli di testa, con quel carrello iniziale sui gangster e, poco dopo, quello sulle automobili: non c'è differenza fra un'immagine e l'altra, è sempre il nulla che si incarna negli intercambiabili ed occasionali supporti materiali forniti da corpi o macchine.

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