Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
“Beat” Takeshi ritorna al genere yakuza con un film monotematico, privo di mezzi termini, intriso fino al midollo di quella potenza spietatamente determinata che alimenta la guerra per il possesso del territorio. La violenza omicida è l’estrema manifestazione di un’energia che rimane catturata nel campo gravitazionale di un buco nero, seguendo, lungo un percorso a spirale, la traiettoria che finisce nel suo cuore fatto di potere sovrano e di morte crudele. Il capoclan, soprannominato Mr. Chairman, è il centro di forza a cui tutti fanno riferimento per poter sopravvivere, e che tutti riesce a manovrare: è lui il nucleo intorno a cui ruota una galassia criminale, che attira a sé i pianeti periferici solo per inglobarli e distruggerli. La strategia dell’allettamento assassino, della trappola cannibale è un labirintico intreccio di fili basato sul principio del divide et impera, in cui le vittime fanno a gara per raggiungere per prime un traguardo inesistente, e così finiscono per sospingersi a vicenda nella bocca del ragno. Più di tutto convince, in questo film, l’assoluta assenza di deviazioni dal gioco fratricida ed amorale: una rinuncia alla digressione, all’esitazione, alla visione laterale che conferisce al racconto una purezza espressiva metallica, limpida e dura come il diamante. Il serrato dinamismo della storia è un vento gelido e sferzante che brucia la pelle come il passaggio di una lama o un raffica di mitra, scuoiando il tessuto dei sentimenti umani e facendo lo scalpo ai princìpi. Nonostante le inevitabili, pittoriche spruzzate di rosso, il film, più che un tripudio di sangue – che, di per sé, è una calda e palpitante sostanza carnale - è il trionfo della freddezza, del calcolo che, con la sua deterministica perfezione, diventa il motore universale dell’agire umano. Il clan è il cosmo, il boss è il logos che ne disegna il destino e ne istituisce le leggi, sulla base dell’unico paradigma su cui si regge l’intero sistema: la lotta per il predominio sui traffici illegali, che rende l’alleato indistinguibile dall’avversario, e quindi riduce tutti, in ugual misura, ad anonime pedine, libere di muoversi e di mangiarsi in tutte le caselle della scacchiera. Takeshi Kitano estromette, dal suo campo visivo, tutto il resto del mondo: e in tal modo ci costringe a respirare, dall’inizio alla fine, solo ed esclusivamente l’aria viziata e rarefatta della sfida interna, della rivalità tra pari, del rancore amplificato dal rimbombo di stanze chiuse e spoglie, come quelle che formano la squallida reggia della malavita. Outrage è rabbia cinica che non esplode per istinto, ma solo a comando; che non è covata nell’intimo, bensì studiata a tavolino; e che, cionondimeno, si scatena in una ferocia brutale, che annienta e divora sotto l’atavica spinta della fame di denaro.
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