Regia di Apichatpong Weerasethakul vedi scheda film
Il richiamo ipnotico da un’altra dimensione, contatto tra mondi, è la sostanza del film di Apichatpong Weerasethakul, attrazione verso l’ignoto della Thailandia, le sue foreste popolate da spiriti palpitanti, forme mai viste, creature di un aldilà presente, come nei cartoon di Miyazaki. Lo zio Boonmee dalla sua fattoria sprofondata nella vegetazione, al limite del reale, convoca se stesso per celebrare il rito dell’ultimo passaggio. È malato, ha bisogno di cure, ed ecco che dalle sue vite passate si materializza la moglie, presenza materica, fantasma in carne e ossa, perché il paradiso, gli dice, non esiste. E dalle tenebre della giungla sorgono altri non vivi, corpi umani in fusione libera con gli animali, come il ragazzo scimmia dagli occhi rossi fluorescenti, suo figlio. Piani esistenziali coesistenti e interattivi, Weerasethakul attinge da un’installazione d’arte e da due cortometraggi ideati per raccontare il mito e la storia vera del suo villaggio, Nabua, distrutto dall’esercito thailandese perché considerato un covo di ribelli. Complice anche lo zio Boonmee, che uccise troppi comunisti e troppi insetti e ora sogna la favola della principessa dal volto sfigurato che specchiandosi nell’acqua si vide bella e si unì in un balletto acquatico al dio pesce gatto. Redenzione e morte. Il film compone nelle sue inquadrature immobili fiaba e cronaca, fumetto pulp e l’antica arte dell’incisione e nel suo fermo immagine fa affiorare l’elemento in eccesso, il meraviglioso impercettibile, un cinema nuovo. L’unica Palma d’oro di Cannes 2010.
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