Regia di Apichatpong Weerasethakul vedi scheda film
Nel folto della giungla, la presenza umana è una tiepida fiammella, tenue e trasparente come le anime dei defunti sullo sfondo del buio della morte. Occorre muoversi adagio, ed in silenzio, onde evitare di infrangere quel velo di magica illusione che, in un momento imprevedibile, porta i mondi dei vivi e dei morti, della realtà e del sogno, a sfiorarsi con le dita. Un alone di incertezza, di pensieri attentamente scanditi e timidamente sussurrati, sfuma i contorni delle creature, a sottolineare la fragilità di quel confine che solo circostanze eccezionali rendono temporaneamente visibile. Questo film cammina con infinita grazia su quel sottilissimo tracciato che il mito a volte riesce a disegnare sulla superficie del mondo tangibile, invitando pochi eletti a percorrerlo come funamboli sul filo. Lo zio Boonmee, suo figlio Boonsong e l’anziana principessa sono gli eroi di questa impresa soprannaturale, in cui il coraggio si misura sulla capacità di sottomettersi, senza indugi, al dominio dell’impossibile. La divinità invita all’abbandono delle prerogative umane, e alla fusione con le altre forme dell’universo (la scimmia, il pesce), in una metamorfosi che, superando le diversità, realizza una perfetta ed assoluta forma di pace cosmica. Nell’aldilà scompare quel dato individuale che è l’apparenza, e con esso se ne vanno i limiti che legano ogni persona ad un luogo, ad un’attività, ad una cerchia di affetti. L’unicità fa il posto alla molteplicità, che significa essere qui ed altrove, uomo e animale, giovani e vecchi. I difetti fisici come le deformità, la malattia, il decadimento sono soltanto i più evidenti tra i limiti che il trapasso supera e cancella. L’esistenza di questa dimensione, che si trova solo ad un passo dalla vita quotidiana, nascosta dietro una cortina di fantasie oniriche, riempie la realtà di un’attesa vibrante e silenziosa: una tensione riverente e devota, che rallenta i gesti e le parole, come se l’umanità si aspettasse, da un momento all’altro, di essere interrotta dall’arrivo di una rivelazione. Ad incombere è la dissoluzione, intesa come un passaggio, miracolosamente fluido, a quel regno forse sotterraneo, forse subacqueo, in cui tutto è giusto, buono ed eterno.
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