Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film
Ispirato al romanzo “Sagapò” di Renzo Biason in cui lo stesso autore racconta le proprie esperienze di vita militare durante la campagna di Grecia, in cui Biason piuttosto che un conflitto bellico descrive la vita dei soldati, dei suoi stessi commilitoni.
Salvatores in Mediterraneo ne prende spunto, estrapola alcune situazioni per farne il suo film che non è un film di guerra o sulla guerra, ma una storia ambientata nel 1941 con chiari riferimenti però alla situazione politica italiana dei primi anni novanta, un periodo di apparente cambiamento, di aspettative poi deluse.
In un isola della Grecia vengono lasciati o meglio dire scaricati alcuni soldati italiani per una missione di presidio.
Il manipolo di uomini è sotto la responsabilità di un tenente di complemento appassionato d’arte, ci sono sono anche due “alpini” un sergente convintone interpretato da Diego Abatantuono ed un affezionato di asini ed soldato senza legami affettivi, lui a casa non ha nessuno che l’attende.
La radio in dotazione accidentalmente si rompe, sono tagliati fuori, non possono contattare più nessuno e nessuno li contatterà più… per anni.
Nella quiete della vita di un isola sperduta del mar Egeo, Salvatores costruisce lo sfondo adatto per raccontare il desiderio di fuga da un sistema immodificabile. Una storia bellissima, toccante, nella quale si percepisce lo stato di abbandono anche se smorzato dall’ironia dei personaggi che consapevoli della loro situazione cercano di andare oltre tentando di mentire a se stessi per non pensare ad una patria, ad un regime che fondamentalmente li ha ingannati.
L’unica soluzione è vivere in pace con i pochi abitanti rimasti sull’isola che diventa una specie di rifugio, di alternativa, una fuga da una realtà o da una situazione non voluta e troppo grossa per loro.
Nessun personaggio nel film si erge come protagonista, lo sono invece tutti, accompagnati dal persistente ritornello della colonna sonora, dalle suggestive riprese nel Mediterraneo che impreziosiscono le scene.
Il film si chiude con un finale contemporaneo, malinconico, che sa quasi di sconfitta, di rassegnazione, che però indica una via a coloro che sognano, che fuggono, non certo per codardia, ma per non essere complici di una sistema che è sostanzialmente una trappola.
Il film è un classico, un cult del cinema italiano, una storia senza tempo dedicata a tutti quelli che stanno scappando.
In tempi come questi la fuga è l'unico mezzo per mantenersi in vita e continuare sognare
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