Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
Tra il dopoguerra e il boom, la commedia italiana ha conosciuto una fase abbastanza curiosa che si è sviluppata in due filoni: il cosiddetto neorealismo rosa e lo strapaese, che sono a loro volta filiazioni di Pane, amore e fantasia, film-spartiacque. Se del primo si può pensare, con tutto l’affetto possibile, che abbia contribuito ad annacquare le dinamiche del popolo metropolitano in una dimensione votata essenzialmente al sentimento, il secondo lo si può intendere come una sorta di involontario laboratorio di transizione che porta qualcosa della farsa tipica del decennio nel momento storico successivo. Il medico e lo stregone contiene alcuni elementi fondamentali del genere: un piccolo centro non necessariamente reale ma credibile; un gruppo di caratteristi buoni per tutte le stagioni; l’irruzione del nuovo in un sistema di credenze. Mario Monicelli, non ancora esploso, è già interessato al disegno della cialtroneria all’italiana, tanto nel medico condotto incarnante la razionalità ma anche la presunzione di indottrinare i presunti ignoranti quanto nello stregone che si fa rappresentante della superstizione nonché della vanità di imbrogliare i presunti ignoranti. Una parabola politica? Anche, volendo. Dietro ci sono Age e Scarpelli, che già la sapevano lunga. Per la sua dimensione strapaesana, va letto in parallelo con La nonna Sabella di Dino Risi, in una sorta di visione globale del paese come luogo della transizione. Film d’attori, tra un Marcello Mastroianni giovane e vispo e un Vittorio De Sica di splendido mestiere, spicca il memorabile duetto in stazione della grande Marisa Merlini con un Alberto Sordi in partecipazione straordinaria.
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