Regia di John Cameron Mitchell vedi scheda film
John Cameron Mitchell, per servirci e stupirci. Rabbit Hole è una sorpresa, soprattutto perché viene dall’inquieto e discontinuo regista di Hedwig. La diva con qualcosa in più e dal provocatorio ed estremo creatore di Shortbus. Dove tutto è permesso, che si inventò un inno americ-anale impossibile da dimenticare. Era difficile pensare che da questo ragazzo terribile potesse nascere un dramma così teso e soffocante, che sapesse disegnare un ménage familiare spezzato dall’ingiustizia più infame e insopportabile: la morte di un figlio. L’unico, il piccolo biondissimo Danny. Il film doveva dare premi a catinelle a Nicole Kidman, così brava da farci dimenticare, quasi del tutto, il suo botulino. Madre bella e borghese apparentemente fredda, è in realtà donna determinata nell’autolesionistica volontà di fare sempre la cosa giusta per scavare nel proprio dolore senza alcuna pietà (per se stessa e chi l’ama). La realtà è che, però, il vero fenomeno è Aaron Eckhart. Come Bill Irwin in Rachel sta per sposarsi di Demme, porta su se stesso la colpa di tutto e sacrifica il suo dolore immenso e incompreso per tenere insieme i cocci del suo amore, tra canne, urla, errori e schiaffi presi. È soprattutto con lui e con una regia rigorosa che il film, senza ricattarci, ci spezza il cuore. Conquistandocelo.
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