Regia di John Cameron Mitchell vedi scheda film
Prova d'attrice cosumata per la Nicolina Kidman, in questo esercizio di stile fortemente voluto, prodotto e cucito su misura per le sue corde, che comunque quelle sono, e più di tanto c'è poco da tirarle (e questo s'era capito...).
Dramma familiare di una coppia sopravvissuta alla morte, per incidente, dell'unico figlio di quattro anni, condita di eccessi, incomprensioni, scatti di nervi, rinfacci e tutto il campionario d'obbligo atto a far risaltare la non accettazione di un avvenimento tragico e, per svariati versi, contro natura.
Ed è proprio in questa, eccessivamente esasperata, sottolineatura delle zero capacità d'accettazione, che troviamo il limite maggiore della pellicola.
L'argomento si presta da se ad una sensibile drammatizzazione. Condirlo di situazioni al limite (conflitto con madre e sorella, scene isteriche, totale diversità di punti di vista col coniuge, partecipazione a ridicoli gruppi d'ascolto) può rendere, da un lato, più agevole il compito di chi vuole commuovere con cinque gol di vantaggio, dall'altro far sortire il dubbio, nel pubblico più smaliziato, che si sia “oliato” l'arbitro.
Sia chiaro, rimaniamo sempre anni luce dall'analogo, inguardabile, esperimento fintamente trattato dal nostro Moretti con La stanza del figlio, ma il risultato lascia comunque quell'impressione di voler vincere facile, senza avventurarsi con pieno coraggio tra le pieghe di un dramma che avrebbe meritato un'analisi più dettagliata, di quel dolore spesso composto e mimetizzato, da scovare chirurgicamente, e non a sciabolate, o perlomeno non solo.
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