Regia di John Cameron Mitchell vedi scheda film
Di fronte a un film 'del dolore' come "Rabbit Hole" si ha l'mpressione del deja-vu...e di essere nel salotto 'confidente' di un qualsiasi programma 'di verità' della tv di pomeriggi (annoianti) e/o di seconde-serate (spaventevoli). Quando una pellicola crede di coinvolgere lo spettatore con accadimenti interiori e interpretazioni ben 'vestite' e preparate.
Nicole Kidman (Becca) è una madre che da otto mesi ha perso il figlio in un incidente...vive in modo implosivo la sua vita familiare con il marito Howie (Aaron Eckhart) che invece 'vuole' toccare con mano i passi del piccolo Danny e rivedere il duo video nel suo 'palmare'. E quando scopre che è stato cancellato (improvvido o voluto gesto della moglie mentre sta facendo una telefonata) lo scontro diventa sì reale e duro ma anche (poco coinvolgente) e asettico .La recitazione ingloba se stessa e fagocita un duello acerbo e non dirompente. La teatralità è lontana e dismessa dalla commozione sincera. Qui e in altre scene (cosidette 'madri') il vissuto è 'impietrosito' da luoghi comuni...mesti (incontri tra perdenti, la marijuna, il far nulla e l'amicizia surreale).
Si deve dire che la Kidman è brava (presa dal suo ruolo di mamma incompresa...vedasi, scena al supermercato e lo schiaffo ad una mamma che nega al suo bambino l'acquisto di un 'dolce'..eccessiva e non dirompente) ma spesso gli altri gli rubano l'azione... il marito (un bravissimo Eckhart), il ragazzo dell'incidente (Miles Teller è convincente), sua madre...quindi il segno del comando della propria disperazione che dal film non traspare completamente e 'commuove' poco la platea.
Chi sa se la 'pièce teatrale' da cui è tratta la storia aveva diverso impatto? I premi hanno certamente favorito la trasposizione cinematografica. Kidman si cuce addosso il suo personaggio producendo il film con un regista (J.C.Mitchell) che asseconda il tutto ma non convince (nè tutto il percorso, nè la sincerità, nè la regia troppo 'legata' e 'piatta').
I fumetti di Jason (universo parallelo) è idea 'riuscita' ma il dramma si lega lontano a un io indecifrabile..
Il finale ('salutare') non crea nè speranze, nè sincera commozione (e/o 'partecipazione').
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