Regia di John Cameron Mitchell vedi scheda film
Film sull'elaborazione del lutto, forse il peggiore dei lutti, quando un padre e una madre sopravvivono ai loro figli. La scrittura è ottima, poiché ricca di spunti e di conflitti che ci aiutano a riflettere, che dovrebbero emozionarci, tenere viva e pulsante una storia fatta soprattutto, essenzialmente di silenzi. I silenzi di una casa, di una realtà domestica nella quale risuona l'eco visivo di una presenza che non c'è più. La struttura a conflitti insomma è davvero corposa: quella tra i coniugi e i loro sensi di colpa, l'organizzazione della vita dopo la morte; quella tra sorelle che hanno avuto storie di vita e caratteri così diversi; quella tra due madri accomunate dall'aver perso, seppure in circostanze dissimili, il loro figlio; quella tra le vittime e il carnefice e tra le vittime stesse; quella tra razionalità e ricerca di un altrove; quella tra un altrove scientifico e un altrove regligioso e qui mi fermo, ma l'elenco potrebbe ancora continuare.
Ecco, forse è questa sovrabbondanza che finisce per diluire ciò che avrebbe dovuto essere il nucleo impattante del racconto: una madre, un padre, una casa vuota. Forse ci voleva più coraggio nell'investire l'energia nel buco nero dell'assenza e rischiare di annoiare magari. Sì, perché alla fine hai un'opera che descrive bene, benissimo, ma non coinvolge, non ti rapisce, non ti trascina sul fondale del dolore. O magari è solo la dura legge dell'alchimia cinematografica, che tavolta fa scoccare la scintilla e altre volte no. Il cast infatti, al di là delle simpatie individuali, è azzeccato e le performance tutte all'altezza, anche se personalmente metto Eckhart una spanna sopra tutti e non da ora.
Insomma, grandi mezzi ma risultato per me deludente.
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