Regia di Peter Weir vedi scheda film
Paesaggi straordinari e un’avventura semplicemente incredibile dominano in lungo ed in largo tutto il film, peccato però che la nuova fatica di Peter Weir non riesca a trasmettere pienamente questi due attributi coi suoi personaggi e con le dinamiche che si susseguono durante i vari frangenti della loro lunga marcia.
Siberia 1940, un gruppo di uomini tenta la fuga da un gulag col motto che è meglio morire da uomini liberi piuttosto che perire lentamente da prigionieri sfruttati e maltrattati.
Intraprenderanno così un viaggio lunghissimo per sfuggire alle grinfie del comunismo, passando dalle nevi siberiane al deserto più arido, percorrendo migliaia di chilometri a piedi e vedendo sempre più spostata la meta della loro tanta agognata libertà.
Peter Weir mancava al cinema da ben sette anni (“Master and commander” del 2003) e l’attesa era davvero tanta, e con essa le aspettative erano alte, ma alla fine a dominare è soprattutto l’amaro in bocca.
Certo è un film solido, soprattutto onesto nei suoi intenti di base, propone paesaggi più suggestivi, ed impervi e differenti, l’uno dell’altro, ma la narrazione procede con pochissimi guizzi (tra gli altri, la morte trasognante del primo fuggiasco ed il miraggio nel deserto), mentre i personaggi non bucano l’obiettivo, come si suol dire, e tutto procede troppo meccanimente per larghi tratti.
Poi, mentre per i primi cento minuti ci si prende tutto il tempo necessario per ogni frangente, verso la fine improvvisamente si tira fin troppo dritto (praticamente saltata la traversata dell’Himalaya, nemmeno un saluto come si deve per il distacco dal personaggio cardine interpretato da Ed Harris, una delusione) per arrivare ad un salto temporale che va bene fin quando si rivive la storia del comunismo nell’Est europeo, ma che poi si conclude in maniera smaccatamente, quanto inutilmente, romantica.
Fortunatamente rimane uno spirito avventuriero sferzante che salva il prodotto (avvalorato da riprese mozzafiato), ma da un regista come Peter Weir era lecito, per non dire obbligatorio, aspettarsi ben altra sostanza, soprattutto nel tratteggio dei protagonisti (comunque stoici gli attori chiamati ad uno stress fisico provante).
Un po’ piatto, troppo costruito a tavolino, ma non difetta affatto del respiro avventuroso.
Un pò piatto, molto bravo nel fotografare panorami incredibili, molto meno quando si tratta di rendere "vivi" i personaggi della storia che racconta.
Un pò deludente, soprattutto in relazione ad attese ed al suo nome.
E speriamo di non dover aspettare altri sette anni per rivederlo all'opera.
Il personaggio gli si addice, selvaggio, rozzo ed imprevedibile.
Più che sufficiente.
A lui è affidato il ruolo chiave del film.
Ce la mette tutta, ma non incide fino in fondo anche se non è solo colpa sua (anzi è per lo più implicita a come è stata trattata la storia).
Quasi discreto.
Ruolo che si esaurisce nella prima mezz'ora nella quale si guadagna agevolmente il gettone di presenza.
Sicurezza.
E' l'unica femmina del gruppo.
Anche lei è un pò soggiogata dalla situazione, ma offre una prova di resistenza notevole.
Più che sufficiente.
Anche per lui si tratta di una prova di gran sofferenza (da notare la trasformazione fisica tra l'inizio e la fine).
In più ci mette l'esperienza ed anche recitativamente parlando è almeno un paio di spanne superiore agli altri colleghi di set.
Peccato solo che il suo personaggio venga liquidato troppo velocemente ed ingenerosamente.
Superiore.
Sufficiente.
Altro protagonista del gruppo di fuggiaschi.
Semplice, ma adeguato e spigliato, fa una discreta figura.
Protagonista di una delle scene più belle dell'intero film e non è un caso che si tratti di una delle poche circostanze in cui il cuore riesce ad avere la meglio.
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