Regia di Peter Weir vedi scheda film
Nei credits iniziali campeggia THE NATIONAL GEOGRAPHIC e questo purtroppo interferisce pesantemente con tutto film. La storia più o meno romanzata (ma in fondo non è importante) dell'evasione di un giovane polacco e altri 6 prigionieri di varie nazionalità da un gulag sovietico è letteralmente "annegata" in un interminabile documentario sulle meraviglie dell'Asia centrale.
Dopo alcuni mesi di permanenza in un lager in condizioni di vita intollerabili, la fuga: inizia nell'inverno 1941 nelle foreste della Siberia, prosegue in primavera lungo le sponde steppose del lago Baikal, e poi d'estate e autunno attraverso i deserti della Mongolia e ancora d'inverno in Tibet, per terminare nell'India inglese. Lungo il percorso il gruppo si assottiglia: uno dei fuggitivi muore congelato, un altro decide di restare in Russia, perché comunque quello è il suo paese, si aggiunge una ragazzina polacca anche lei fuggitiva da una fattoria-prigione, e camminano, camminano, camminano, nella neve, nel fango, nella sabbia.
D'accordo, il viaggio è durato molti mesi per migliaia di chilometri, ma c'era bisogno di ripetere più volte la scena dei poveracci affamati ridotti a mangiare vermi e larve e a scortecciare betulle per assumere un po' di nutrimento? E tutti quei primi piani di piedi gonfi e piagati, di labbra spaccate dalla sete, di occhi accecati dalle carenze alimentari, per quanto ragionevoli e realistici, anziché commuovere dopo un po' vengono a noia. Lo stesso vale per le interminabili riprese dall'alto dei marciatori, per quanto abbiano per sfondo le inquietanti dune del tempestoso Deserto di Gobi e le possenti vette dell'Himalaya.
I personaggi sono disegnati molto sommariamente, scopriamo qualcosa di loro solo verso la fine, quando si confidano con la ragazzina, una Saoirse Ronan petulante ma fortissima. L'ingegnere americano di origine russa emigrato a Mosca in cerca di lavoro ai tempi della Grande Depressione e poi imprigionato perché sospettato di spionaggio avrebbe meritato un film tutto suo, e nei suoi panni Ed Harris dà come sempre il meglio. Colin Farrell interpreta con convinzione il laido e selvaggio urka, assassino inaspettatamente leale e patriota. Mark Strong è il prigioniero che da anni ha progettato la fuga nei minimi particolari ma all'ultimo non ha il coraggio di partire, la sua breve interpretazione rimane nella memoria. Il giovane Jim Sturgess è l'eccellente protagonista e voce narrante, il giovane Janusz, che continuerà caparbiamente a camminare anche dopo la riconquista della libertà, e tornerà nell'amata Polonia solo dopo la caduta del Muro di Berlino nel superfluo e francamente fastidioso pistolotto anticomunista finale.
Insomma un'occasione perduta, un Peter Weir irriconoscibile: ha voluto fare un film sugli orrori dello stalinismo e insieme raccontare la piccolezza dell'uomo di fronte alla potenza implacabile della natura, paragonare l'homo homini lupus del gulag e l'indispensabile solidarietà durante la fuga, ma tutti insieme gli elementi purtroppo non quagliano, nonostante le buone intenzioni.
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