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The Way Back

Regia di Peter Weir vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su The Way Back

di alan smithee
6 stelle

La firma esclusiva di Peter Weir si associa ormai sempre ad un vero e proprio avvenimento cinematografico: basta riguardare la sua notevole pur se non fitta filmografia per rendersi conto che ci troviamo di fronte ad un uomo di cinema che ha segnato decisamente il suo cammino con opere importanti, intense, che spesso hanno richiesto sforzi umani, economici e mentali davvero notevoli, spesso peraltro ripagati da successi e consensi sia di critica che di pubblico. Weir e' un cineasta che spesso si inchina e rende omaggio alla grandiosita' del mondo che ci circonda, alla natura che, pur piegata e sottomessa riesce comunque a far valere regole dure ed indiscutibili che spesso impongono all'uomo sprovveduto o che e' costretto a convivere situazioni di emergenza, di affrontare scelte che non sempre gli consentiranno di portare a termine i suoi progetti. Gli anni spezzati, Mosquito Coast, Master & Commander ovviamente, ma anche L'ultima onda o Picnic at Hanging Rock ci mostrano comunque, ognuno con la loro storia, la fragilita' dell'essere umano di fronte alla furia o ai misteri di una natura che spesso questi tende semplicemente a condiderare come un palcoscenico senza personalita', e come tale assogettabile ai suoi mutevoli umori, capricci, necessita'.
Il film, epico e dai toni talvolta piacevolmente retro' come ai bei tempi di un colossal alla Lean, racconta le drammatiche peripezie di un gruppo di fuggiaschi da un gulag siberiano, dove i confini non sono rappresentati dai muri di cinta, bensi' dalla natura ostile in cui e' sprofondato quel carcere a cielo aperto in cui venivano confinati i dissidenti al regime comunista sovietico, nel periodo del secondo conflitto mondiale. 6500 km a piedi, percorsi nella totale inadeguatezza di mezzi, affrontando freddi siberiani, caldo e siccita' di deserti, fame, sete, problemi di salute. Un gruppo eterogeneo di uomini (piu' una ragazzina) che impara in quelle circostanze tremende a ragionare nell'interesse di una collettivita' che, come natura ed istinto insegnano in occasione di epocali migrazioni, sono l'unica possibilita' di  salvezza, almeno per qualcuno di loro.
E tra i pochi superstiti l'anima del gruppo sara' proprio il giovane polacco Janusz, dissidente condannato in seguito alle confessioni estorte dall'autorita' alla giovane e bella moglie, torturata ed umiliata. La forza di raggiungere l'amata consorte per spegnere il tormento di una rivelazione rubata con la forza sara' proprio il motore della sopravvivenza, che permettera' al protagonista di superare anche le difficolta' piu' estreme ed irraggiungibili. Sontuoso ed appassionante in molti momenti, il film non e' purtroppo sorretto da una sceneggiatura che gli consenta di esprimersi fino a fondo con le premesse e l'incalzante tensione dei momenti piu' drammatici. Qua e la' si intuisce che interventi esterni e/o forzature di sceneggiatura, contrasti con la produzione o quant'altro siano intervenuti svilendo molto di cio' che di  buono che il film si portava dietro nell'epopea descritta e raccontata con passione. La vicenda infatti tende ad esaurirsi quasi a tavolino, e non bastano due filmati o diapositive d'epoca per giungere ad un epilogo consolatorio e lacrimevole che riteniamo, se conosciamo un po' il fantastico regista, gli sia stato imposto per chiudere frettolosamente un'opera che forse alla fine nessuno si e' piu' sentito di difendere fino in fondo. Rimangono impresse nello spettatore, comunque spesso affascinato e colpito da una vicenda che non puo' lascire indifferenti, i volti e i corpi emaciati, sconvolti, consunti di un cast che comprende pure nomi celebri e stimati, tra i quali rimane impresso piu' un Ed Harris umano e collaborativo piuttosto che un Colin Farrel a tratti macchiettistico ed indisponente. Bravo ed immedesimato Jim Sturgess, finalmente in un ruolo un po' al di la' del solito "all american boy".

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