Regia di Peter Weir vedi scheda film
Un guazzabuglio che cerca di conciliare troppe cose: la denuncia degli orrori dello stalinismo, la storia dell'emancipazione politica della Polonia, e ancora la fuga e il roadmovie come viaggio iniziatico, il rapporto dell'uomo con la natura madre-matrigna.
Francamente imbarazzanti, nel finale, le immagini di repertorio che in due minuti due raccontano la storia della liberazione polacca e di Solidarnosc, con i piedi che marciano in sovraimpressione.
A volerla riassumere, ricorda una barzelletta: ci sono un polacco, un americano e un russo che vogliono evadere da un gulag: ce la faranno? Se la prima parte e' promettente, con attenzione ai dettagli e alla verosimiglianza, dal momento in cui si varca il confine sovietico la storia perde qualsiasi appiglio alla realta': i fuggitivi smettono di aver bisogno d'acqua, di cibo e di sonno, attraversando con nonchalance (e, sembrano suggerirci le immagini, anche in pochissimo tempo) il deserto del Gobi fino al Tibet e quindi all'India.
Peter Weir negli ultimi anni si deve esser bevuto il cervello. Cosa e' rimasto del rapporto magico e misterioso dell'uomo (e della donna) con la natura che tanti hanno amato in "Picnic a Hanging Rock" in questa sequenza di immagini da cartolina che tanto ricorda la TV che promuove il turismo facile?
Niente di meno credibile per interpretare un criminale della Russia interna. E da dove gli esce quell'accento cosi' falso??
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