Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Ogni cosa non è illuminata. E non basta certo il calvario dell’agnello Javier Bardem a togliere i peccati dal mondo. Iñárritu, che ancora gode del credito maturato con l’equivoco Amores perros, è un regista da coproduzione internazionale. La categoria dei Bille August e dei tedeschi in trasferta a Hollywood, per intenderci. Problematiche spezzacuore e star internazionali la ricetta infallibile del nostro. In mezzo un cinema indigesto che pare gettarsi a capofitto nell’agone ma in realtà guarda sempre tutto da lontano. Del mondo e del reale a Iñárritu interessano i segni esteriori. Così anche in Biutiful si sprecano lavoratori clandestini, tossicodipendenti e malattie secondo un’estetica in grado di rendere inodore e insapore la miseria. Estetizzante tanto quanto Bardem è manierato, Biutiful gira a vuoto spremendo eleganti tormenti da ogni inquadratura e ogni sofferta smorfia del protagonista. Delirio radical chic e del cinema ridotto a messaggero di idee che stanno fra la new age e un’attonita ma tanto, tanto sofferta e partecipe impotenza, Biutiful si attorciglia su se stesso convinto di trattare massimi sistemi. Espressione di una crisi ideale che si manifesta spietata nella forma inerte di un racconto convoluto, Biutiful è il punto di non ritorno di un cinema che pur di vantare il proprio diritto di cittadinanza nel mondo depreda corpi e luoghi secondo il modello neoliberista messo sotto accusa nel film. Biutiful è la falsa coscienza del neo cinema globale.
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