Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Lui si chiama Uxbal (Bardem, premiato a Cannes come migliore attore, ex-aequo con Elio Germano), vive nella suburra di Barcellona e per tirare avanti si è infilato in un traffico di clandestini al soldo di alcuni cinesi senza scrupoli. L'uomo arrotonda ulteriormente spacciandosi per medium, ha due bambini - il più piccolo soffre di enuresi notturna - vive in una topaia e sua moglie (Alvarez: è dai tempi di Mariangela Fantozzi detta Cita che non si vedeva una donna altrettanto brutta sul grande schermo) è una battona bipolare che se la intende col cognato e ha la siringa facile. Uxbal ha il cancro e qualche settimana di vita. Il problema è: chi si prenderà cura dei bambini?
No, non siamo in un melodrammone di Matarazzo, ma nell'ultima fatica di Alejandro Gonzalez Inarritu, enfant prodige che con l'ex sodale Guillermo Arriaga aveva firmato capolavori come Amores perros, 21 grammi e Babel e che, a divorzio ultimato, licenzia un polpettone fiacchissimo al quale mancano soltanto terrorismo, incesto e pedofilia per completare il quadro parossistico nel quale si muove la figura del protagonista. Orfano di uno sceneggiatore come Arriaga al quale la struttura dei film precedenti doveva moltissimo, Inarritu si muove su una struttura narrativa lineare, privilegia una Barcellona tutt'altro che turistica, annuncia il disastro smorzando la suspense e, dopo Mare dentro, mette Bardem nelle condizioni di giocare ancora una volta la carta del malato terminale. Incrocio dismorfico tra Anche libero va bene e L'argent, Biutiful sembra voler richiamare programmaticamente l'uso del fazzoletto. Rimane invece inerte, incapace di emozionare.
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