Regia di Robert Mulligan vedi scheda film
Con un approccio che non cerca l’azione o di sconvolgere il pubblico, questo film invece si propone come un lento stillicidio di tensioni. Assistiamo infatti alla parabola verso il baratro di Cooper (Jason Miller, il Padre Karrasde L’esorcista) di un piccolo boss che intrattiene rapporti con la malavita di Los Angeles. Detto “L’uomo chiave” (per via del grosso mazzo di chiavi che porta sempre con sé) è un punto di riferimento nella 5° Strada in cui dà protezione e soprattutto gestisce depositi di merce che “scotta”. Tuttavia percepiamo che l’influenza di Cooper si sta sempre più dissolvendo: un grosso affare per degli spazi dedicati allo stoccaggio di altra merce tarda ad avere conferme, delle voci cominciano a far emergere sfiducia nei confronti di Cooper da parte dei suoi “protetti” e in particolare nonostante l’interessamento diretto di Cooper, un pugile non termina l’incontro in accordo alle sue direttive. Questa perdita di potere si accompagna ad un atteggiamento sempre più arrogante da parte degli uomini del boss di riferimento da cui Cooper dipende, il viscido Carl, il quale affida a Cooper un giovane ed inquietante cowboy, Turner, che, nonostante da presenza apparentemente innocua diviene sempre più minaccioso man mano che Cooper vede i suoi piani sgretolarsi. Suddiviso in due parti, una prima che ci introduce in un contesto metropolitano ove il protagonista, con la sua aria seria e contrita, è comunque benvoluto dai suoi conoscenti, e riconosciuto come una persona che assolve i suoi compiti con una puntualità da calcolatore elettronico, ma che appunto acuisce l’atmosfera di sfiducia e sospetto nei confronti anche delle persone vicine; la seconda invece, che ritaglia una lunga parentesi bucolica, su un lago ove Cooper si ritira per alcuni giorni con la dolce compagna Sarah, cambia registro con delle ellissi, come il sogno di Cooper che sembra anticipare (anche se in modo sostanzialmente errato) l’epilogo della vicenda. Come detto, la tensione non sfocia in scene d’azione, siamo lontani da inseguimenti o sparatorie, si avverte invece attraverso le mosse ed i pensieri del protagonista logorato da una costante spada di damocle e da una successione di eventi che non riesce più a controllare. In tutto questo il regista è estremamente abile nel dipingere questo personaggio che si sgretola pezzo per pezzo e che si sente respnsabile delle sorti anche delle persone che a lui hanno affidato la loro protezione: lo sfogo violento alla notizia che l’allibratore a cui aveva promesso l’incolumità, è stato massacrato, è un emblema della presa di coscienza di Cooper sulla sua perdita di influenza ed autorità. Il finale non lascia alcuno spazio consolatorio, Cooper è stato scavalcato nell’ultimo affare per il quale non riusciva a ricevere risposte e il suo boss è un maestro nell’arte di dissimulare e mentire nel modo più spudorato, tanto da far illudere per qualche ora che Cooper sia salvo. Questa invece sarà la riprova che i sospetti di Cooper erano fondati e un epilogo del clima di incertezza e tradimento che ormai ha sostituito ogni principio di lealtà nel quartire e che, inevitabilmente, prevede l’eliminazione dell’Uomo chiave. Una pellicola purtroppo poco conosciuta e che sin dalla sua uscita ebbe poco successo tra il pubblico, elemento che non stupisce più di tanto visto l’approccio che sicuramente non è rivolto alle grandi masse. In ogni caso una bella prova di un regista che già si era cimentato in opere di spessore, una su tutte Il buio oltre la siepe e di un attore come Jason Miller che però non ebbe una carriera così significativa. Bravissimo anche il ripugnante Bo Hopkins che sembra venire direttamente dal suo personaggio de Il mucchio selvaggio, ironico, mellifluo che si rivela per quello che è: un killer. Toccante il finale con Cooper accasciato ed esanime all’ingresso del bar in cui lavora il suo amico ove, mattiniero, aspettava di consueto l’apertura.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta