Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film
Medea è la religione distorta, la madre assassina che, anziché immolarsi per la redenzione dei propri figli, li uccide per la salvezza della propria dignità. La cerimonia del sacrificio umano, all’inizio del film, è una icastica koinè, costruita intorno ad un omicidio rituale che è trasversale a tutti i culti del mondo, da quelli precolombiani a quello cristiano, riuniti in una morte che è un misto di crocifissione, soffocamento, smembramento e cremazione. I personaggi del macabro corteo hanno costumi dei tipi più vari e bizzarri, in cui confluiscono elementi di tutte le civiltà e di tutti i ranghi sociali, in un variopinto mélange che abbraccia, senza distinzioni, tutte le epoche e tutte le genti. Il versamento del sangue è l’evento sacro/tabù per eccellenza del monoteismo che, se frainteso, può degenerare in una visione carnale e cruenta ed ispirare guerre fratricide. L’unico credo a misura d’uomo è il mito dell’antichità, basato sull’armonia universale che vede l’individuo immerso, col corpo e con lo spirito, in un mondo pervaso dalla divinità. Egli, come il centauro, è tutt’uno con gli altri esseri della natura, e, di fronte ai fenomeni del cosmo, prova solo un deferente stupore: non formula interrogativi, e non chiede di conoscere. Giasone abbandona questo “giardino dell’eden”, per raggiungere un mondo nuovo - dominato dalla ragione, che ha perduto il mistero del mondo “santo” creato da Dio - per divenire egli stesso centro dell’universo, carico di domande e di interpretazioni individuali, ma, per contro, abbandonato ad una vertiginosa levità, priva di punti di riferimento e di oggetti di venerazione. Sul piano della realtà contemporanea, l’uomo ha abiurato ad una chiesa in cui il messaggio profetico si è materializzato nell’idolatria, rappresentata dal vello d’oro montato su una croce in un tempio cristiano. La stessa preghiera, meglio se accompagnata da un’offerta pecuniaria, ha assunto la forma di una pratica propiziatoria. Questa sterile devozione aveva reso l’uomo solo, l’aveva allontanato da Dio e dal mondo, lasciandolo in mezzo ad un paesaggio lunare ed ostile. La scomparsa del vello d’oro è messa in scena, nel film, come una scoperta del sepolcro vuoto, che, però, non è il segno della resurrezione: in una terra assetata e rocciosa nessun seme potrà mai attecchire. La chiesa, nella visione pasoliniana, si trova così in esilio tra gli uomini, perché privata della sua anima originale, e ridotta a semplice depositaria di una tradizione, nella quale Dio è solo un ricordo da perpetuare: ecco perché Medea si sente “un vaso pieno di un sapere non suo”. La sua rovina è iniziata quando ha deciso di farsi laica, identificandosi con il potere temporale e la ricchezza ed affidandosi alle logiche terrene: essa ha così, di fatto, assunto connotati territoriali e relativi, perdendo, definitivamente, il dominio dell’assoluto. Questo è ciò che accade a Medea, che viene spogliata dei suoi paramenti e dei suoi gioielli – un manto che ha la forma di una pianeta, ed i preziosi rosari indossati come collane – per diventare donna tra le donne. La sua tragedia è “la sua catastrofe spirituale, il suo disorientamento di donna antica in un mondo che ignora ciò in cui ha sempre creduto. La poverina ha avuto una conversione alla rovescia e non si è più ripresa.” Invano ella cercherà di riconquistare Giasone, l’uomo che non accetta più la sudditanza della coscienza, e che così risponde alle sue suppliche: “È ora che tu ti convinca infine chiaramente che io devo soltanto a me stesso la buona riuscita delle mie imprese, anche se tu non vorrai mai riconoscere che, se hai fatto qualche cosa per me, lo hai fatto solo per amore del mio corpo. Tu mi rimproveri di essere ingrato, ma io, anche se forse senza molta fatica, e magari – lo ammetto - non volendolo, ti ho dato infine molto di più di quel che ho ricevuto.” L’eterno dilemma tra immanenza e trascendenza, in un’opera che, però, non concede nulla alla saggistica.
L’obiettivo di Pasolini riesce a trasformare i personaggi in icone universali, i cui sentimenti non sono impulsivi moti dell’animo, ma lucide espressioni della coscienza, momenti di riflessione sul proprio ruolo nella storia dell’uomo. Ecco perché quest’opera si sottrae ai limiti del tempo e dello spazio, come la vera poesia. L’universalità è sottolineata da un mirabile esercizio acrobatico di ripresa, tra Piazza dei Miracoli a Pisa e l’Anatolia.
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