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Medea

Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film

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La recensione su Medea

di Gangs 87
6 stelle

Giasone è il legittimo discendente del trono di Iolco ma suo zio Pelia non vuole consegnarglielo se non in cambio del Vello d’Oro, oggetto capace di guarire ogni ferita; così parte insieme agli argonauti alla volta della città di Colchide dove il Vello è custodito da un terribile drago per conto di Eeta, padre di Medea, maga dotata di poteri divini e in parte oscuri (è una delle discendenti della temuta maga Circe), che si innamora perdutamente del giovane a tal punto che, pur di aiutarlo a raggiungere il suo scopo, uccide il fratello, consegna allo stesso il Vello d’Oro e con lui parte per Iolco. Pelia però non è intenzionato a mantenere la promessa data al nipote così Medea, sfruttando le sue doti, plagia le figlie dell'uomo che provocano la morte del padre tra atroci sofferenze. Banditi da Iolco per mano di Acasto, figlio di Pelia, i due innamorati si rifugiano a Corinto, dove si sposano. Dieci anni dopo il re di Corinto, Creonte, vuole dare in sposa a Giasone la figlia Glauce garantendo all’uomo la successione al trono; Giasone accetta scatenando l’ira di Medea a tal punto che Creonte la esilia da Corinto per paura della sua vendetta. Quando Medea convoca Giasone per ricordargli tutto quello che lei ha fatto per lui, l’ingratitudine e l’indifferenza dell’uomo alimentano la rabbia della donna che, fingendo l’accettazione e la riappacificazione con il marito e la sua nuova famiglia, per il bene dei due figli avuti da lui, manda in dono a Glauce una veste finissima e una corona d’oro ma quando la giovane donna li indossa, essendo intrisi di veleno, muore fra fiamme e dolori strazianti insieme al padre Creonte accorso per aiutarla. La vendetta di Medea non finisce qui, per assicurarsi che Giasone soffrisse e non avesse discendenza, seppur con immenso dolore, uccide i loro figli.

 

Questo è quanto viene mostrato nella pellicola di Pasolini: la quasi intera rappresentazione di uno dei più affascinanti miti greci. La bellezza e la drammaticità di questa tragedia con lo sguardo di Pasolini, assume le forme di una rappresentazione allegorica in cui i dialoghi sono ridotti al minimo, questo comporta che molti gesti e azioni devono essere interpretati prima che compresi.

 

Riprendendo molte delle caratteristiche delle sue pellicole precedenti, PPP oltre ai dialoghi riduce anche la scenografia, ambientando il film tra sassi e ampie distese di natura, salvo poi veder comparire Campo dei miracoli, in una delle scene più cruciali e affascinanti dell’intero film che finisce, in un certo qual modo per essere anche una delle scene in parte più assurde dell’intera pellicola, in quanto la maestosità delle opere del luogo pisano stridono in modo netto e deciso con il resto dell’ambientazione.

 

L’idea di utilizzare come protagonisti Maria Callas (Medea) e Giuseppe Gentile (Giasone), due personaggi totalmente estranei al mondo del cinema alla loro prima e unica apparizione, risulta essere in parte una provocazione ma in altra parte l’ennesima dimostrazione che PPP antepone la fotogenia di volti ed espressioni alla capacità recitativa. In questo caso, avendoli utilizzati per una pellicola quasi priva di dialoghi in parte funziona anche, non fosse che, tutte le inquadrature in cui i protagonisti appaiono, finiscono per essere rigide e posate in modo quasi insopportabile.

 

Anche la scelta di comporre un’opera così complessa, colma di simbolismi potrebbe sembrare eccessiva ma considerando che ci troviamo di fronte alla narrazione di un mito greco, di certo sembra essere più accettabile rispetto ad alcuni esperimenti passati. Resta comunque un film difficile da assimilare, stancante da seguire, contorto e complesso; una film che, ancora una volta, conferma quanto il cinema di Pasolini, spesso recitato dal popolo, non sia al popolo adatto.

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