Regia di Cecil M. Hepworth, Percy Stow vedi scheda film
Questo cortometraggio, meritoriamente conservato e restaurato dal British Film Institute, si colloca non solo temporalmente, ma anche idealmente, tra il cinema-verità delle opere dei fratelli Lumière e le magie visive di Georgés Méliès. Questa prima versione su pellicola della favola di Lewis Carroll, da un lato, documenta l’azione che si svolge davanti alla macchina da presa, dall’altro si avvale di raffinati trucchi di montaggio: l’illusione cinematografica si compone così di una parte di finzione filmata (il teatro in costume in cui recitano personaggi fantastici) a cui si sovrappone, successivamente, l’artificio tecnico degli effetti speciali. La settima arte conosce due diversi modi di stupire: il primo risiede nell’originario prodigio di riprodurre sullo schermo la realtà in movimento, il secondo nella possibilità di creare una verosimiglianza concreta sfidando le leggi del mondo fisico e del pensiero razionale. Alice in Wonderland li fa propri entrambi, ricordandoci, con i suoi fotogrammi consumati, tra un graffio ed una bruciatura, che ogni inquadratura deve essere, per definizione, un atto creativo, in cui l’uomo usa coscientemente l’obiettivo per prelevare, dal regno del possibile, quello scorcio in cui immaginazione e percezione si fondono per dare luogo ad un sogno diventato, se non proprio vero, per lo meno oggettivamente valutabile dai sensi e dalla mente.
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