Regia di Esteban Sapir vedi scheda film
In un Paese governato dalla tv e dal suo malvagio proprietario, tutti sono muti tranne una cantante che è la principale stella della televisione. La donna ha un figlio parlante; un rivoluzionario decide di diffondere la voce del bambino tramite una potentissima antenna su tutto il Paese.
A undici anni – e qualche videoclip di Shakira – di distanza dall’esordio dietro la macchina da presa con Picado Fino (1996), Esteban Sapir torna a dirigere un lungometraggio, del quale cura anche la sceneggiatura, affidando la direzione della fotografia a Christian Cottet. Strano, perché Sapir viene proprio da quel tipo di ruolo, nel quale ha lavorato a lungo dalla metà degli anni Novanta, e strano soprattutto se si considera che La antena è un lavoro magistrale dal punto di vista della fotografia. Un omaggio al cinema muto e un impegnativo saggio di tecniche cinematografiche, realizzato con strumenti analogici e digitali, vecchi trucchi riadattati ai nostri tempi e tanta postproduzione. La storia di per sé è poca cosa: una fiabetta senza tempo dalla morale semplice ed evidente; la confezione è molto più convincente, anzi: i meriti di La antena dal punto di vista sono innanzitutto palesemente formali, da spartire anche con la colonna sonora di Leo Sujatovich, i costumi di Andrea Mattio, le scenografie di Valentina Llorens e Sebastian Serra e l’intero reparto dei (numerosi) truccatori. Da questo punto di vista la cornice funziona meglio del quadro, che pure è decorosissimo; nel cast gli adulti (Julieta Cardinali, Rafael Ferro) convincono meno dei bambini (Sol Moreno e Jonathan Sandor). Considerando che la parte sostanziosa della trama è tutta nell’ultima mezzora, è lecito domandarsi se non si sarebbe potuta accorciare la prima parte del film, che arriva complessivamente alla durata di cento minuti. 6,5/10.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta