Regia di Tom McGrath vedi scheda film
Divertente, rock, educativo e allegorico. Si potrebbe racchiudere in questi quattro aggettivi la descrizione di questo ennesimo buon lavoro della Dreamworks, con buona pace degli animatori e soggettisti Disney che si ostinano a propinarci principesse, ranocchi ed eroi dal cuore d’oro, dimenticando che ormai è solo grazie ai Cattivi che il mondo va avanti. E così, dopo “Shrek” e “Cattivissimo me”, un altro personaggio non proprio esemplare può essere eretto a simbolo dei miti della piccola infanzia ma soprattutto di quegli adulti che seppur cresciuti non smettono di sognare e ridere dietro ad un prodotto d’animazione. Se i piccoli parteggeranno subito per Megamind a causa del suo carattere istrionico e del suo buffo tratto, i grandi se ne innamoreranno per via del messaggio educativo e allegorico che Megamind stesso tramanda, nonostante noi italiani oramai ne abbiamo fino ai capelli delle malefatte di un piccolo nano pelato, per di più blu (viagreo?) e amante delle barzellette.
Chi non si è mai chiesto perché Superman o Spiderman vincano sempre sul cattivo di turno? Chi non ha almeno una volta sperato che questi supereroi belloni perissero sotto i colpi del Male? È proprio da questi assunti che parte il fulcro della storia del film per poi diramarsi in molteplici sottorami. Il Male per la prima volta prevale sul Bene e lo fa attraverso Megamind, un ominoide alieno e alienato, mingherlino, pelato, blu e con una testa enorme che nasconde un grande cervello (caratteristica, ovviamente, a cui deve il nome). Niente a che vedere con Metroman, il supereroe belloccio, palestrato, con ciuffo alla Elvis e fidanzato con la Lois Lane di turno, la telegiornalista Roxanne.
Sconfitto definitivamente (in apparenza) il Bene, come occuperà il tempo il nostro Cattivone? Come vincerà la noia? Semplice: creando un altro buono, Titan (o Tighten, nella versione originale, chiamato così perché era “l’unico nome libero da copyright”) ad immagine a somiglianza dell’eroe deceduto, ricorrendo alla clonazione tramite Dna e istruendolo sin da piccolo all’epico scontro. Ma non tutto va come previsto e il Male stesso sarà costretto a rivedere le sue posizioni in nome di qualcosa di più importante, l’amore, ciò che tutto muove e che è capace di rivoluzionare tutti gli assiomi dell’apparenza: nulla è come sembra.
Sin da subito Megamind cattura l’attenzione degli spettatori più grandi per vari aspetti legati alla sua caratterizzazione: innanzitutto, è vittima inesorabile del Destino, che lo vuole prima allontanato dai genitori, poi cresciuto all’interno di un carcere per supercriminali, ripudiato dai suoi compagnetti di scuola per via della sua diversità (quanto sanno essere crudeli i bambini!) e poi costretto in un’eterna sfida con il Bene, altra faccia della stessa medaglia.
Megamind, in una concezione tipicamente americana del self made man, saprà però sovvertire il destino stesso fino a prenderne le redini in mano in un percorso che lo trasformerà grazie al fatto di sentirsi finalmente accettato e amato da qualcuno e lo costringerà a capire cosa in realtà desideri, trovando la sua vera vocazione: c’è uno yin per ogni yang. E questo percorso viene sottolineato da continui rimandi alla tradizione cinematografica dei film di formazione, esaltando in primis il ruolo dell’amicizia, della complicità tra Megamind e la sua personalissima coperta di Linus, il piranha parlante Minion, unico dono e ricordo dei genitori.
Ogni spunto di riflessione è accompagnato con toni ilari e sarcastici: la parodia de “Il Padrino” con Megamind novello Marlon Brando chiamato a far da babysitter fa sbellicare sia grandi sia piccini (resa particolarmente divertente dal doppiaggio italiano in cui si scimmiotta l’accento siciliano).
E saranno anche i grandi a cogliere le citazioni allegoriche: la paura sull’operato di un nuovo presidente “diverso”, la ricerca di un nuovo “nemico” comune da fronteggiare, la critica sul degrado di certe metropoli americane (nonostante non ne venga mai citata una in particolare, lo skyline e gli sterminati giardini pubblici fanno subito pensare a New York), i manifesti elettorali con la scritta “No, You Can’t”.
E i grandi sapranno cogliere gli elementi provenienti da film a carattere fantascientifico: dalle scene tra i grattacieli che rimandano a “Spiderman” a quelle sulla cima di un grosso palazzo che richiama l’Empire State Building di “King Kong”, dall’impalcatura “scimmiesca” di Minion al robot che accompagna la battaglia finale che ricorda “La guerra dei due mondi” di spielberghiana memoria.
E spetterà sempre ai grandi godersi l’intera colonna sonora che comprende capisaldi squisitamente rock che accompagnano le teatrali entrate in scena di Megamind: da “Highway to Hell” e “Back in Black” degli AC/DC a “Miss America” e “Crazy Train” di Ozzy Osbourne a “Welcome to the Jungle” dei Guns ‘N Roses, passando per “A Little Less Conversation” di Elvis e “Bad” di Michael Jackson. Esilarante poi, per chi ha la possibilità di vedere la versione originale qui doppiata da Adriano Giannini, la “Metroman’s Song” eseguita da Brad Pitt che purtroppo viene persa nella versione italiana.
Due soli punti di demerito: il doppiaggio italiano e l’uso del 3D. Il doppiaggio italiano non conta sui nomi di superstar italiane, cosa che invece si aveva in originale con le voci di Will Ferrell, Tina Fey, Jonah Hill, Ben Stiller e Brad Pitt. E questo fa perdere un po’ della caratterizzazione estetica dei personaggi mentre l’animazione in 3D nulla apporta alla versione in 2D, caratterizzata da un tripudio di colori che si alternano in base ai protagonisti in scena.
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