Regia di Manetti Bros. vedi scheda film
Uno 'sbirro' padovano ha causato involontariamente l'uccisione di una sua confidente, non riuscendo a coprirla. Da quel momento ha deciso di non utilizzare più risorse dirette nella malavita locale. Almeno finchè un grosso caso di narcotraffico si profila all'orizzonte.
Alla metà degli anni Duemila esplode il fenomeno del nuovo poliziottesco, trascinato dal successo di Romanzo criminale (Michele Placido, 2005) e da qualche altro lavoro di simile stampo; anche la televisione decide perciò di inserirsi in scia e la Rai con lungimiranza produce una serie intitolata Crimini, composta da 8 episodi tratti da altrettanti romanzi gialli nostrani, con cast tecnici e artistici eterogenei. Tre anni più tardi arriverà una seconda serie di ulteriori 8 film televisivi, a testimoniare i buoni risultati ottenuti dai primi. E' fra questi ultimi che si trova Morte di un confidente, che porta la firma dei fratelli Manetti (Antonio e Marco) per il lavoro dietro la macchina da presa e, per la sceneggiatura, di Tommaso Capolicchio, Nicola Lusuardi e Massimo Carlotto, che è l'autore del racconto omonimo da cui il soggetto. Cento minuti di tv, sufficientemente apprezzabili nonostante gli evidenti limiti dettati dagli standard della confezione: una resa estetica non impeccabile, un ritmo pacato, un approfondimento psicologico poco marcato dei personaggi e naturalmente una serie di interpreti che pesca largamente fra volti noti al pubblico del piccolo schermo (Debora Caprioglio, Rodolfo Corsato, Remo Girone, Fulvio Falzarano e Chiara Conti sono i nomi principali). I metodi spicci e brutali del protagonista sono in sostanza l'unico rimando al 'glorioso' poliziottesco che fu: il resto è mestiere. 3/10.
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