Regia di Agnieszka Wojtowicz-Vosloo vedi scheda film
Prendi la classica coppia che scoppia e falli dividere da un incidente stradale dove si presume che lei muoia. Poi prendi un becchino filosofo che forse è un serial killer che aiuta i suoi clienti a trapassare precocemente. Ecco, prendi questo trio di personaggi e falli interagire fra di loro mediante spettrali apparizioni, tentativi di riesumazione e tristi bilanci di vita, dopodichè aggiungici il classico bambino disadattato alla "sesto senso", et voilà : il film è fatto. "After.life" è prodotto di poco spessore e di realizzazione scontata a partire dall' uso di luci, fotografia e scenografia. Tutto molto livido, molto freddo, asettico come la stanza nella quale è ambientata quasi metà della pellicola. Lo scopo è chiaro, sottolineare il contrasto fra la vita e la morte per posizionarsi nel mezzo e lì sviluppare una trama pseudo-thriller che però fa acqua da tutte le parti. Il difetto principale del primo lungometraggio di Agnieszka Vosloo, infatti, è proprio quello di non coinvolgere, di tediare lo spettatore con una sceneggiatura lacunosa e con uno sviluppo elementare dove ritmo e tensione sono ben al di sotto dei livelli di guardia previsti dal genere. Nell' oretta e mezzo che lo spettatore ha per annoiarsi, fanno brutta figura anche gli interpreti che annoverano un improbabile e granitico Liam Neeson nel ruolo del macabro villain, una Christina Ricci decisamente sottotono e quasi irriconoscibile nei panni della non-morta e l' insignificante Justin Long che, come già successo nello spietato "Drag me to hell" di Sam Raimi, si rivela non all' altezza di ruoli che vadano oltre il semplice comprimario. Irritante, infine, il fatto di trovare un capolavoro di brano come Exit music (for a film) dei Radiohead sui titoli di coda. We hope that you choke ...
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