Regia di Grigori Chukhrai vedi scheda film
Il regista raggiunge i suoi migliori risultati proprio nel delineare la psicologia di questo soldatino che non è più un ragazzo ma non è ancora un uomo e che, pur partecipando come protagonista al dramma del suo paese, reca intatto dentro di sé il tesoro di cordialità ingenua, di vivace freschezza propria dell'adolescenza
È triste pensare a ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, alle cose che avrebbe potuto fare e non ha fatto, all'amore che poteva dare e non ha dato. Ha avuto solo il tempo di essere un soldato.
Questa frase è una specie di accorata epigrafe pronunciata alla fine del film dalla voce narrante che ho riportato in apertura perché ben sintetizza il senso ultimo di questa pellicola che forse ancor di più de Il quarantunesimo e di Cieli puliti, è il titolo a cui è legata la fama internazionale di Ciucraj.
Presentato in concorso al Festival di Cannes del 1960 (dove si aggiudicò il Prix de la Meilleure Participation), fu successivamente candidato all’Oscar (nel 1962) nella sezione “migliore sceneggiatura originale.” Il film collezionò anche un buon numero di importanti riconoscimenti (soprattutto in Europa) fra i quali il David di Donatello per il Miglior Film Straniero (1960) e il BAFTA per il miglior Film Internazionale (1962).
La ballata di un soldato che ha un andamento rapsodico nella sua struttura narrativa, racconta di fatto un tragedia (mi riferisco al finale preannunciato). Forte è il sentimento antimilitarista che contiene ma non si tratta di un film cupo o violento perché è girato con una mano particolarmente delicata e uno sguardo di affettuosa, elegiaca poesia che stempera però un po’ troppo la portata drammatica della vicenda.
Nel suo tentativo (comunque riuscito) di esprimere un profondo sentimento pacifista e una condivisibilissima condanna della guerra, rimane infatti molto lontano per esempio dalla fortissima carica emotiva che genererà (turbando fortemente le coscienze degli spettatori) lo sconvolgente L’infanzia di Ivan, magnifica opera d’esordio di Tarkovskij girata solo qualche anno dopo (1962) o dal violento, brutale “j’accuse” molto più pregnante e significativo, scagliato da Stanley Kubrick col quasi contemporaneo Orizzonti di gloria che denuncia (e processa inappellabilmente) i feroci sistemi del militarismo, della sua gretta mentalità, dei suoi barbari sistemi formulando però in contemporanea, anche una specie di sofferto, doloroso elogio alla dignità umana calpestata e umiliata dalla gerarchia disumana e di classe, in nome di una ben individuata concezione di casta alla quale i soldati devono restare assoggettati sempre e comunque, costi anche la vita. Una pellicola davvero memorabile che ha e mantiene una carica polemica e una consapevolezza politica che ne La ballata del soldato non dico che siano totalmente assenti, ma sono presenti in una assai più fievole misura. Ciucraj infatti per la sua condanna, sceglie di fare a appello soprattutto alle virtù familiari e civiche, e per poter fare questo, privilegia sopra ogni altra cosa i sentimenti privati (quelli più nobili ovviamente) attraverso i quali prova a sollecitare il consenso e la consapevolezza degli spettatori, in quanto a loro volta padri, madri e figli.
Un procedimento più che legittimo, naturalmente, ma che alleggerisce notevolmente l’impatto incandescente della denuncia, quasi che il regista volesse in qualche modo evitare opposizioni e contrasti (non dimentichiamo come era ancora in gran parte legata al passato stalinista la Russia che stava lentamente provando a muovere solo i primi passi verso il disgelo totale che arriverà molti anni dopo ma con le conseguenze che abbiamo ancora sotto gli occhi). Pur prendendo una posizione netta (su questo non si può discutere), il regista sceglie dunque di dipingere la guerra come se si trattasse di una “inevitabile” calamità che il singolo deve sì affrontare con coraggio (e anche con rassegnazione direi), ma non ritiene invece necessario (e il film infatti non fa alcun passo in quella direzione) indagare le cause che l’hanno generata né tanto meno individuare (e denunciarle) le responsabilità oggettive di chi la guerra l’ha voluta. E’terribile - sembra voler sottolineare Ciucraj -, ma purtroppo è così: e ci si può fare poco, so è solo costretti a subire tutto quel lo che si porta dietro sperando che tutto si concluda presto.
Non vorrei essere frainteso però (le mie sono soltanto piccole osservazioni a latere) perché è comunque encomiabile che il regista abbia voluto ancora una volta allontanarsi dal fastidioso eroismo programmatico di molte delle pellicole sovietiche del periodo postbellico per sostituirlo con una più realistica e pacata rappresentazione di un popolo silenziosamente impegnato nello sforzo patriottico, senza esibizionismi e retoriche guerresche (i personaggi che animano la pellicola non sono più le piatte generalizzazioni tipiche del realismo socialista, ma individui, colti ognuno nella sua specificità).
Per voler restare troppo aderente alla modesta realtà della vita affettiva individuale però, ha forse finito per togliere un po’ troppo mordente alla più generale verità del suo appello alla pace ugualmente presente nella pellicola insistendo eccessivamente sul bozzettismo di certe situazioni collaterali che riviste oggi, a me sembrano un po’ troppo di stampo… deamicisiano (lasciatemelo dire) che nulla aggiungono (e qualcosa tolgono) al risultato complessivo della narrazione come per esempio l’episodio della moglie di un commilitone (del nostro protagonista in licenza premio) ancora impegnato al fronte in prima linea (Pavlov) alla quale il ragazzo in viaggio verso casa, deve recapitare del sapone e che quando la incontra scopre che questa lo tradisce nel frattempo il marito con un altro uomo, e perciò, disprezzandola, decide di lasciare quel regalo non a lei ma al padre deli suo amico che si occupa di un gruppo di bambini poveri.
Probabilmente un serio lavoro di eliminazione delle eccedenze, avrebbe contribuito a renderlo più omogeneo: non che sia debordante nella durata (che a me risulterebbe essere di 96’ anche se nella scheda qui si parla invece di 88’) ma perché si avverte una certa ripetitività nelle scene e gli incontri che si susseguono che lo rendono forse un tantino dispersivo e che si risolve spesso in un susseguirsi di colloqui a due (campo e controcampo insomma spesso anche su piani molto ravvicinati) che ingenera talvolta un po’ di monotonia. Un procedimento questo che serve comunque a rendere più evidente il quadro sociale di riferimento in relazione alle intenzioni di Ciucraj che sono poi quelle di voler rappresentare una nazione devastata e gli sconvolgimenti che il flagello della guerra porta nell’intimo delle esistenze individuali distruggendo o compromettendo i più elementari sentimenti umani (nell’ordine, ci si sofferma sull’affetto reciproco che lega la madre a figlio e viceversa, sulla felicità coniugale di due sposi, sull’amore appena sbocciato fra due ragazzi, e sulla gioia di vivere di un adolescente nonostante la guerra e il fronte) con l’intento di far emergere dalla recitazione degli attori, una verità psicologica più intima, delicata e struggente.
Per rendere però più chiaro e fruibile il mio discorso, è a questo punto necessario che entri nel vivo del racconto che è quello del fortunoso viaggio effettuato da un soldato diciannovenne, che ha preferito rinunciare a una decorazione per ottenere invece in come premio al suo eroismo, una licenza di sei giorni che gli permetterà di andare a trovare la madre rimasta sola nel villaggio natale.
Durante il percorso, Alioscia (questo è il suo nome) farà una serie di incontri: un mutilato, vergognoso e disperato per dover tornare a casa dalla moglie con le grucce; una donna che tradisce il marito combattente in prima linea (l’episodio a cui accennavo prima); la guardia di un treno merci che accetta di far salire il giovane in cambio di cibo in scatola; e soprattutto quello con una ragazza, Sciura, dapprima spaurita e scontrosa, poi timidamente, trepidamente innamorata. Quando sarà molto vicino alla sua meta però, un bombardamento lo immobilizzerà al di qua di un fiume che per arrivare a casa dovrebbe attraversare (cosa che riesce a fare solo quando: il termine della licenza sta per scadere, ed egli ha dunque solo il tempo di riabbracciare la madre, prima di partire nuovamente per il fronte , dal quale non farà più ritorno.
Il regista raggiunge i suoi migliori risultati proprio nel delineare la psicologia(o per meglio dire ancora, l’educazione sentimentale) di questo soldatino che non è più un ragazzo ma non è ancora un uomo e che, pur partecipando come protagonista al dramma del suo paese, reca intatto dentro di sé il tesoro di cordialità ingenua, di vivace freschezza propria dell’adolescenza. I momenti più toccanti sono insomma quelli in cui il regista attraverso le immagini e l’ottima prova recitativa di Vladimir Ivaschov (Alioscia appunto) riesce a rendere centrali questi sentimenti (vedi le scene che descrivono il progressivo insorgere dell’amore fra lui e Sciura o quelle finali del troppo fuggevole incontro con la madre e tutto il villaggio che si stringe accanto a lui non come a un eroe, ma come a una persona cara. Ed è proprio in queste bellissime sequenze che la pellicola incanta e commuove per la sua tenera grazia, la felicità di alcune immagini altamente emotive (il realismo lirico della fotografia di Vladimir Nikolajev e Era Saveleva) e la finezza di certe intuizioni psicologiche.
Monsieur le Président
Je vous fais une lettre
Que vous lirez peut-être
Si vous avez le temps
Je viens de recevoir
Mes papiers militaires
Pour partir à la guerre
Avant mercredi soir
Monsieur le Président
Je ne veux pas la faire
Je ne suis pas sur terre
Pour tuer des pauvres gens
C'est pas pour vous fâcher
Il faut que je vous dise
Ma décision est prise
Je m'en vais déserter
Depuis que je suis né
J'ai vu mourir mon père
J'ai vu partir mes frères
Et pleurer mes enfants
Ma mère a tant souffert
Elle est dedans sa tombe
Et se moque des bombes
Et se moque des vers
Quand j'étais prisonnier
On m'a volé ma femme
On m'a volé mon âme
Et tout mon cher passé
Demain de bon matin
Je fermerai ma porte
Au nez des années mortes
J'irai sur les chemins
Je mendierai ma vie
Sur les routes de France
De Bretagne en Provence
Et je dirai aux gens:
Refusez d'obéir
Refusez de la faire
N'allez pas à la guerre
Refusez de partir
S'il faut donner son sang
Allez donner le vôtre
Vous êtes bon apôtre
Monsieur le Président
Si vous me poursuivez
Prévenez vos gendarmes
Que je n'aurai pas d'armes
Et qu'ils pourront tirer.
(Boris Vian)
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