Regia di James Ivory vedi scheda film
L’innominabile vizio dei greci. Un film sull’omosessualità. Ma quella omosessualità che non si palesa per pudore delle convenzioni. È molto interessante esplicare le emozioni in modo così sottile e nascosto in un contesto di puritana ipocrisia. Maurice è, innanzitutto, un film bellissimo. Squilibrato finché si vuole per il suo eccessivo dualismo tra sentimenti respirati nella prima parte e sensazioni evocate nella seconda, eppure intriso nella perfezione dell’elegia. C’è qualche minuto di troppo, malgrado ciò sono necessari. È la storia di un amore, un amore che fa male – come sempre, come nei film sentimentali più eccellenti. Un amore che non si dice per paura e per rispetto. Imbastire un racconto su una passione gaia nei primi del novecento inglese poteva rischiare l’effetto estremo del vizio privato e delle pubbliche virtù.
Ivory non cade in trappola e, servendosi ancora una volta di Forster, compone una partitura sentimentale cadenzata sui ritmi misurati dell’eleganza espositiva e sui registri melodiosi della sobrietà malinconica. L’amore che lega Maurice e Clive è una paura che mangia l’anima, ripugna il passato nel presente proiettato al futuro: è la ricerca estrema del compromesso sentimentale. Ovviamente non può che finire amaramente: se l’uno manipola la propria natura pensando alla carriera e alla posizione sociale, l’altro non si piega al volere dell’amato e prosegue il suo cammino, con mille dubbi che l’affliggono. Illuminati da un riverbero di accogliente fulgore, Maurice e Clive sono nella prima parte la personificazione stessa dell’amore disinteressato ed ingenuo, il culmine della passione sinistra che vive l’attimo fuggente con la gioia della sensibilità; nella seconda, invece, il distacco crea una rottura dell’equilibrio assai evidente: niente potrà essere più come prima.
Tanto vale cercare consolazione tra altre braccia. Ed ecco che le esigenze d’amore non sono più cerebrali, ma si fanno più carnali, sanguigne, fisiche. Film colto e raffinato, di gusto sommo e con squisite divagazioni filosofiche e pre-psicoanalitiche, Maurice è soprattutto un encomiabile romanzo di formazione che insegna molte cose sul vivere con sé stessi nell’armonia della propria natura: ha un contradditorio, ci sono due punti di vista nell’interpretazione dell’esistenza. Allo spettatore la scelta se schierarsi con la sincerità sessuale dell’inquieto Maurice di James Wilby o con l’animo manipolato del conformista Clive del fascinoso Hugh Grant. Alla fine c’è qualcosa, succede qualche cosa: forse quell’amore rimosso non è poi così sepolto. Clive si affaccia alla finestra, rivede il giovane Maurice che lo stimola a scendere giù. Un barlume di passione si riaccende? Non lo sapremo mai. Forse non accadrà nulla. Ma i cuori sentimentali possono sperare. In che cosa? Non lo so. Ma sperare, sempre.
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