Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Fa male al cuore pensare a The host campione di incassi nel suo paese, quando in Italia potrebbe mettersi in concorrenza con patetici cinepanettoni o commedie ridicole che propinano all’infinito le solite insipide ricette. Invece fa bene al cinema che prodotti nazional popolari come The host riescano a miscelare contenuti di generi diversi, dal significato più profondo di quello che appare e che incuriosisca, stimoli l’immaginario collettivo e riceva approvazioni incondizionate da fasce di pubblico anche notevolmente distante. Il film del regista sud coreano Joon-ho Bong è completamente costruito su di un sostrato metaforico diviso fra il sociale e il politico, raccontato con qualche dettaglio horror ma impregnato di una buona dose di drammaticità che catalizza lo spettatore. Il mostro generato dallo scarico nelle acque del fiume di sostanze chimiche tossiche non è realmente pauroso, lo è ciò che rappresenta, la conseguente creatura concepita dalla metropoli che in apertura del film appare sullo sfondo, oscura e minacciosa. La vicenda si divide fra la ricerca della ragazzina Hyun-seo, catturata dal mostro marino, da parte dei suoi familiari, e i tentativi di manipolazione sugli abitanti da parte delle autorità, tese a gestire a proprio uso la paura, l’insicurezza, diffondendo notizie false su di un ipotetico virus che il mostro trasmetterebbe. La prima parte del film è connotata dalla gestione di elementi rappresentativi che vanno dall’horror all’action, con una messa in scena dunque non statica, ma che tuttavia non tralascia mai di descrivere i componenti della famiglia, ognuno portatore di valenze simboliche e caratteriali. Si sorride convinti, ma la vicenda si sostiene con un fondo di autenticità e di ricerca della verità che non ne mortifica il pathos. La fuga dall’ospedale dell’intera famiglia sembra uscire dalla visione rigorosa e comica di Kaurismaki, per la sua disarmante semplicità e nei movimenti macchinosi: l’ingenuità dei protagonisti è spudoratezza, la goffaggine è intelligenza, la disperata vitalità diventa coraggio. La seconda parte è meno strutturata sulla diversità di linguaggio, ed ognuno dei personaggi costruirà la propria linea comportamentale secondo i canoni caratteriali che li contraddistingue. La regia codifica con precisione stati d’animo, reazioni e atteggiamenti di risposta dei singoli che si confrontano con il loro stesso mondo che li vuole riportare sotto controllo, rispettosi di quelle regole imposte di cui non si può dubitare (il vecchio padre ne simboleggia il chiaro esempio). Con inquadrature sempre in movimento con i personaggi, la regia mette sullo sfondo elementi urbani e architettonici smisurati, che fanno percepire allo spettatore la sproporzione della lotta fra l’uomo e l’ambiente in cui è costretto a vivere. Il prefinale è inventivo e coinvolgente, lo scontro con il mostro non farà prevalere un personaggio singolo, la regia adotta e sottolinea l’unione delle peculiarità dei protagonisti che immersi nel dramma si ritroveranno come un vero e nuovo nucleo familiare, senza cedimenti retorici naturalmente.. Intanto in un rigurgito quasi “collodiano” le giovani generazioni vengono restituite dal ventre della civiltà, senza consolazione alcuna. The host si erige a buon esempio di cinema mainstream che riesce a fare decollare qualche retro pensiero, senza confinare il film nello spettacolo puro fine a sé stesso.
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