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The Host

Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film

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La recensione su The Host

di Peppe Comune
8 stelle

Il vecchio Park Hie-bong (Hie-bong Byeon) gestisce un piccolo chiosco sulla riva del fiume Hun, a Seul. Lo aiuta il più grande dei suoi figli, Gang-doo (Kang-ho Song), un quarantenne un po' tonto, ancora immaturo e con una figlia adolescente a carico, Hyun-seo (Ah-sung Ko). Ha altri due figli il vecchio Park, il laureato e alquanto incazzoso Nam-il (Hae-il Park), e la campionessa di tiro con l’arco nazionale Nam-joo (Doona Bae). Un giorno, all’improvviso, dalle acque del fiume Hun, emerge un mostro marino che nel volgere di pochi minuti semina terrore e morte con irrisoria facilità. Cattura anche Hyun-seo portandosela con se in fondo alle acque. Tutti i superstiti vengono soccorsi dall’esercito e portati in tutta fretta in strutture in stretto isolamento, compresi i Park, addolorati dalla perdita della piccola Hyun-seo. Ma ad un tratto il telefono di Gang-doo squilla e dall’altra parte una voce impaurita chiede aiuto, forse la ragazza è ancora viva e si trova in qualche punto della rete fognaria della metropoli che da nel fiume Hun. Le autorità non prestono ascolto a questa possibilità, scambiano Gang-doo per un invasato e neanche si preoccupano di localizzare il punto da dove è partita la telefonata. Così la famiglia Park deve fare da sola se vuole sperare di riabbracciare l’amata Hyun-seo, con la forza dell’amore filiale e nascondendosi come dei reietti.

 

 

“Gwoemul” dell’autore sudcoreano  Joon-ho Bong ha la forma tipica del blockbuster ad alto budget che investe molto sulla digitalizzazione degli effetti speciali e l’anima del film d’impegno civile che nasconde dietro un apparente leggerezza stilistica un’accurata analisi socio politica sulla società sudcoreana. Penso che alla fine l’anima prenda decisamente il sopravvento sulla forma, che l’architettura “fantascientifica” che sorregge la struttura del film serva a rafforzare le ragioni ecologiste che vogliono fungere da sottofondo e che la spettacolarizzazione della paura non prenda affatto il sopravvento sulla bellezza dei sentimenti. Joo-ho Bong ha una predilezione particolare nel mostrare un male evidente e un sistema di potere che si dimostra palesemente incapace a combatterlo con i mezzi più idonei. Certo, rispetto al bellissimo “Memories of Murder”, dove l’invisibilità di un assassino seriale era garantito anche dalla cronica inefficienza della polizia oltre che da una struttura di potere che serviva ad immergerlo nel magma indifferenziato di un male più ampio, “Gwoemul” è sorretto da un tono meno grave e da una struttura narrativa che oscilla tra il classico “monster movie” e la caratterizzazione dei personaggi e di talune situazioni che rimandono ai manga giapponesi, ma le invettive feroci lanciate contro le strutture di potere della società sudcoreana ricalcano le stesse linee guida. L’impressione che ho subito ricavato seguendo lo svolgersi della storia, è che Joo-ho Bong abbia voluto subito rendere complice lo spettatore delle sue intenzioni quando fa iniziare il film dall’interno di un laboratorio scientifico da cui viene “smaltita” direttamente nella rete fognaria (e quindi nel fiume Hun ad essa collegata) una grossa quantità di prodotti chimici altamente nocivi (della formaldeide scaduta). Quando da li a pochi minuti si vede comparire dalle acque del fiume il mostro tentacolare, la spiegazione più plausibile possibile circa la sua origine, quella che ci è stata subito consegnata con estrema chiarezza ad inizio film, stride fortemente con le iniziative intraprese dalle autorità politiche, assai preoccupate di debellare un fantomatico virus la cui genesi neanche riescono a capire, e affatto intenzionati a capire da dove possa essere venuta fuori l’orrenda creatura e come fare per localizzarla e sconfiggerla. Invece di chiedere delucidazioni sull’accaduto ai superstiti si mostrono assai evasivi circa gli aiuti che gli presteranno, invece di chiedere collaborazione sembrano voler costruire muri di reticenze. Gli Usa si mostrano molto interessati alla storia del virus (del resto, lo scienziato che ordinò lo "smaltimento" nello scarico del water della formaldeide scaduta non aveva certo "gli occhi a mandorla") e le autorità sudcoreane aspettano servili una loro proficua consulenza. Intanto, la famiglia Park si ritrova da sola alla ricerca del mostro tentacolare, la speranza di ritrovare in vita Hyun-seo vale una caccia spietata fino all’ultimo sangue, ma per poterlo trovare deve riuscire a svincolarsi dalla morsa di un altro mostro, altrettanto tentacolare e non meno pericoloso, fatto di  freddo ed inefficiente burocratismo e poco amore per la vita. Ecco, a mio modo di vedere, queste considerazioni, unite alla genesi e alla natura del mostro, indurrebbero a riflettere sullo scollegamento strutturale tra i cittadini e i suoi rappresentanti istituzionali per il fatto di non sentirsi ne ascoltati ne adeguatamente protetti, e sull’ambiente che diventa ostile verso l’uomo per i danni ingenti arrecati all’ecosistema del pianeta. Il mostro marino e le strutture di potere diventono due facce di una stessa medaglia, due entità che si nutrono in egual misura delle paure collettive e si caratterizzano entrambe per la medesima amorfa irrazionalità. Joon-ho Bong si conferma autore di gran classe. 

 

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