Regia di Woody Allen vedi scheda film
Fraintendere la vita, rendersene conto, e lasciarsi condurre dall'abbrivio dell'inerzia.
“You Will Meet a Tall Dark Stranger” apre il decennio alleniano degli anni ‘10 (partendo per la tangente: i “Foges Years” incisi - le ultime due parole di due versi di una poesia - sullo schienale della panchina nel finale che “prevedendo” docet: non "nebulosi", ma "forgianti"), quello post-“WhatEver Works”, con un eccellentemente calibrato amalgama di una semplessità geometrica disarmante in perfetto equilibro fra dramedy e romcom.
“Qualche volta le illusioni funzionano meglio di una medicina.”
• Prevalenza drammatica: Blue Jasmine, Irrational Man, Wonder Wheel.
• Prevalenza comica (e quindi filosofica): WhatEver Works (fine anni ‘00), To Rome with Love, Rifkin’s Festival (inizio anni ‘20).
• Prevalenza sentimentale: You Will Meet a Tall Dark Stranger, MidNight in Paris, Magic in the MoonLight, Café Society, A Rainy Day in New York.
“→ Ho bisogno di avere quei soldi! → […] → Dicevo quelle cose solo perché tu potessi essere felice, per impedire che tu ti facessi del male! È solo una sfacciata, subdola imbrogliona! → […] → Non lo capisci? Ti dice quello che vuoi sentirti dire e poi ti leva tutti i soldi! →”
Gemma Jones (già "moglie del prete" in "the Devils" di Ken Russell, e poi madre di Mary Anning in "Ammonite" di Francis Lee) e Naomi Watts al loro meglio: due caratterizzazioni ben distinte, ma entrambe interpretazioni fantastiche, fenomenali, magnifiche. Anthony Hopkins tiene loro testa come solo lui può e sa, mentre Josh Brolin, ad un’incollatura, giganteggia pur’esso (suo è il personaggio più disturbante). Non che Antonio Banderas sia da meno, in un ruolo minore, ma cesellato con cura e sapienza. Lucy Punch ha qui l’occasione della vita (mettendo in scena un topos delle narrazioni alleniane: si consideri ad esempio, declinato attraverso divergenze parallele, alla Evan Rachel Wood dello stesso "WhatErver Works" dell'anno precedente), e la sfrutta a dovere: indimenticabile (nel bene e nel male: il “delicato” gioco di seduzione in palestra a gambe aperte...). Freida Pinto prima s’intravede da lontano, oltre la finestra sul cortile. Poi s’ode la sua voce, da facciata a facciata tra le palazzine. Ed eccola, infine, in piano medio americano a incorniciarne lo splendore di rosso vestito. Chiudono il cast Anna Friel, Roger Ashton-Griffiths e Philip Glenister (“Life on Mars” & “Ashes to Ashes”). Voce narrante di Zak Orth.
Fotografia di Vilmos Zsigmond (un paio di bellissimi, delicati zoom lenti altmaniani, e un long take frontale a doppio fuoco su Josh Brolin per strada). Montaggio di Alisa Lepselter (uno stacco morale sul pp.p. di Naomi Watts da mozzare il fiato). Nella colonna sonora, composta esclusivamente da musiche originali, spicca, tra gli altri, oltre a Benny Goodman, la versione jazz-standard di Leon Redbone, dall’album “From Branch to Branch” del 1981, della “When You Wish upOn a Star” di Leigh Harline e Ned Washington scritta per il “Pinocchio” di Walt Disney del 1940 e poi divenuta la canzone rappresentativa del trademark.
“Comunque, la mia teoria è: questo sei veramente tu, e quello che facevi prima era costringere i tuoi libri ad adeguarsi alle tue idee da intellettuale: no, grazie!”
Fraintendere la vita, rendersene conto, e lasciarsi condurre dall'abbrivio dell'inerzia.
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