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E nua ca simu a forza du mundu

Regia di Anna Lajolo, Guido Lombardi, Alfredo Leonardi vedi scheda film

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La recensione su E nua ca simu a forza du mundu

di OGM
8 stelle

Un film fatto esclusivamente di persone vere che, davanti a una telecamera, raccontano, da varie angolazioni, i retroscena di una storia tragica: la morte bianca di un muratore, emigrato da Crotone a Monterotondo, in provincia di Roma, che lascia una moglie, sette figli in tenera età, oltre a una madre vedova e undici tra fratelli e sorelle, rimasti in Calabria con scarsi mezzi di sussistenza. Dal dolore e dalla miseria non emerge, però, un grido di denuncia o di disperazione, ma solo durissime testimonianze di una quotidianità segnata dal disagio sociale, in famiglia come sul lavoro. Parlando della propria situazione, le donne e gli uomini ripresi in questo documentario descrivono le piaghe dell’Italia di quarant’anni fa, afflitta dalla disoccupazione, dalla mancata industrializzazione del Sud, dallo sfruttamento, dal lavoro minorile, dalla mancanza di sicurezza sul posto di lavoro, dall’inadeguatezza dei servizi essenziali. Le loro voci sono espressioni dirette, precise e determinate che infrangono un muro di omertà, e si inseriscono come cunei nella scandalosa connivenza tra forze politiche (anche sindacali) e mondo imprenditoriale. Essere operai, nel Mezzogiorno,  significa essere costretti ad emigrare, lavorare molto e guadagnare poco, ammalarsi, rimanere feriti, non potersi permettere un’abitazione decorosa, fare la fame e, soprattutto, non avere nessuna certezza nel domani. Sono loro stessi a dircelo, portando come esempio le loro drammatiche vicissitudini, passate e presenti: umiliazioni fisiche, morali e materiali indegne di un Paese che voglia definirsi democratico e civile.

La canzone a cui è ispirato il titolo del film è un inno popolare, in cui i lavoratori (costruttori di palazzi e prodotti industriali) rivendicano la dignità della loro fatica, di fronte ad una classe dirigente chiusa in una criminale indifferenza.

È interessante notare che la RAI del 1971 classificava  come sperimentale quel tipo di programma che oggigiorno alcuni chiamano coraggioso e libero, altri subdolo e fazioso, e che quasi tutti considerano semplicemente scomodo.

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