Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film
Il tema della pellicola è, come in quasi tutti i film di Fassbinder, quello dell'alienazione, ma il film è leggibile sotto diversi aspetti.
Il livello di lettura più esplicito riguarda la perdita d'identità della Germania postbellica, condizione che ha caratterizzato il periodo della ricostruzione, e le cui vicende trovano un rispecchiamento in quelle della protagonista. Dopo la guerra infatti, la Germania divenne un terreno di gioco per le altre potenze occidentali che avevano partecipato alla guerra, le quali adesso reclamavano degli ingentissimi risarcimenti per il male che questa aveva procurato al mondo, pretendendo ciascuna o una parte di territorio, o la delocalizzazione delle industrie e della mano d'opera, o l'esportazione di prigionieri politici ecc. Per tutto il periodo successivo alla guerra dunque, la Germania si è trovata costretta a vivere una condizione di alienazione, a sottostare alle ragioni degli altri, a vendersi smarrendo così la propria identità, la propria vera ragion d'essere, a vivere insomma un'esistenza non sua, ma tutto ciò, sembra volerci dire Fassbinder, esclusivamente allo scopo di ritrovare l'identità perduta; esattamente come accade alla protagonista, la quale si venderà a destra e a manca, passando da un colonnello americano (riferimento agli aiuti americani ricevuti dalla Germania) a un proprietario d'industria, si getterà in pasto al mondo facendosi sfruttare allo scopo di sfruttare a sua volta, buttandosi in una serie di imprese esclusivamente in vista della riconquista della propria unica e vera ragione di vita, il marito Hermann, perso proprio durante la guerra appena un paio di giorni dopo il matrimonio.
Ma l'alienazione della Germania a un certo punto diventa un altro tipo di alienazione, quella capitalistica, nel momento in cui Maria inizia a lavorare per l'industriale tessile. Lo sdoppiamento della protagonista, la scissione radicale che viene a crearsi fra l'interiorità e l'esteriorità, l'affettività reale (il marito) e il sesso, rispecchia esattamente la schizofrenia creata dal modo di produzione capitalistico e i suoi rapporti di potere, tema particolarmente caro a Fassbinder, a sua volta utilizzato dal regista come metafora dei rapporti umani (in Fassbinder coesistono sempre in ugual misura riflessione sociale ed esistenziale).
Il film è dunque anche una denuncia del boom economico e dello sviluppo capitalistico della Germania: Maria morirà nel momento in cui scoprirà che il marito finalmente riconquistato si è arricchito grazie all'eredità lasciatagli dall'industriale, ex-amante della donna, mentre in sottofondo per tutta la scena sentiamo la radiocronaca della famosa partita fra Germania e Ucraina, nota come il "miracolo di Berna", divenuta il simbolo della vittoria della Germania ovest su quella comunista: il capitalismo insomma, avrebbe corrotto e distrutto per sempre proprio quell'identità che la Germania andava disperatamente cercando da anni, perduta la quale ormai, non rimane ad essa altra ragione di vita.
Ma l'opera è comunque leggibile anche da un altro punto di vista, e cioè quello del contrasto fra le esigenze dell'individuo e l'adesione all'astratta ragione di Stato (riflessione alla base del Principe di Homburg di Kleist, citato infatti nella scena in cui il mercante interpretato da Fassbinder offre a Maria l'opera omnia del poeta tedesco, sentendosi rispondere da questa "i libri bruciano troppo infretta e non fanno abastanza calore"...), contrasto accentuato ulteriormente proprio dal capitalismo a causa della scissione interna e della condizione di alienazione alla quale costringe l'individuo.
"Il matrimonio di Maria Braun", a mio avviso, sfiora il capolavoro, la messinscena è raggelata e caratterizzata da un romanticismo tanto disperato quanto trattenuto, che trova espressione in uno stile distaccato e apparentemente privo di partecipazione emotiva; Fassbinder da una rappresentazione desolante e desolata dei rapporti umani, basati sullo sfruttamento reciproco e sulla dipendenza del più debole dal più forte, nonchè delle dinamiche che sembrano governare un mondo diventato invivibile e disumano, seguendole con dei movimenti di macchina che paiono descrivere in maniera disillusa delle geometrie disumane e prestabilite, con una costruzione delle inquadrature altrettanto freddamente rigorosa e geometrica, in cui spesso i personaggi, come sempre in Fassbinder, appaiono minuscoli e costretti in spazi angusti, sovrastati dalle geometrie disumane di un mondo troppo grande per loro.
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