Regia di Carmelo Bene vedi scheda film
Più di 4 mila inquadrature combinate a balenanti movimenti di macchina, babeliche commistioni linguistiche, temi musicali interrotti, in balia d'un vorticoso montaggio tritatutto che frammenta e destruttura orpelli, maschere, corpi (vivi/defunti) e simulacri artistico-religiosi, riducendoli a brani. C'è una logica dietro cotanto profluvio d'irrazionalità e va ricercata nel senso del non-senso d'una realtà polisemica, plurivoca, antinomica e parcellizzata, che turbina attorno alla tragicità del paradosso della procreazione. La tempesta caleidoscopica d'immagini, dove l'estetizzazione è parodiata allo stremo, infuria imperterrita fino a quando non s'arresta nella sospensione del sempiterno atto primo/ultimo, amplificato dalla specchiera franta in una miriade di pezzi acuminati.
La camera affonda nel nero dentro la cornice per giungere poco alla volta al completo ottenebramento, quindi la sferzante chiusa: "gli specchi sono abominevoli poiché moltiplicano il numero degli uomini".
C.B. passa dall'antiteatro "osceno" all'anticinema, calpestando e maltrattando (così come ha davvero fatto con la pellicola) il parto del proprio genio, espressione dell'ennesima immonda mise-en-scene/geworfenheit. La sua opera, priva d'un canovaccio qualunque ma nel contempo intessuta della trama par excellance, è il grido di protesta che muore soffocato e impotente di fronte all'ineluttabile rigenerarsi della vita.
Sarebbero bastati i 10 minuti d'un cortometraggio a imprimere a tale delirio visivo il massimo dell'efficacia. Invece la pessima idea d'estenderlo alle dimensioni d'un lungo, al limite dell'inguardabile, finisce con l'indisporre, irritare, innervosire oltremisura, e non fa pentire d'essersi alzati dalla poltrona ed aver abbandonato la sala.
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