Regia di Jean-Pierre Jeunet vedi scheda film
Raccontare il plot è come chiedere a un ubriaco di stare su una gamba sola, una richiesta indiscreta, immorale. Cambia qualcosa del funambolismo e della balistica antinazista di Arcobaleno di gravità, se chiediamo a Pynchon la trama del mondo? Non cambia nulla perché la trama è solo un pre-testo.
Provate a dire mimàctirelarigò, non è giapponese, è francese, derivazione di antica pratica di bevute rabelaisiane; mimacs vuol dire ‘pasticci’: diremo ‘pasticci a più non posso’ come nei sottotitoli o è meglio ‘casini a gogò’ come tradurrei io?
Lasciamo ai traduttori il compito di risolvere il pasticcio.
Film al fulmikotone kolor karamella krokkante, servito in novanta minuti scarsi di jouer à dancer dalla prodigiosa macchina mentale del fantasista Jean-Pierre Jeunet, ritornato ai ritmi vorticosi di Delicatessen, questo delizioso patchwork di invenzioni mescola cinema e poesia clownesca, arte del contorsionismo e della mimica, perlustrazione di bassifondi e omaggi al cinema à tire-larigot.
Raccontare il plot è come chiedere a un ubriaco di stare su una gamba sola, una richiesta indiscreta, immorale. Cambia qualcosa del funambolismo e della balistica antinazista di Arcobaleno di gravità, se chiediamo a Pynchon la trama del mondo? Non cambia nulla perché la trama è solo un pre-testo. Chiedere a Jean-Pierre Jeunet se il suo film è un attacco ai mercanti di morte (i venditori di armi), ci prenderebbe lui per avvinazzati provinciali, perché la trama è solo un post-testo perché la prodigiosa macchina di ossequi alla magia si metta in moto.
Il film è nell’altrove del cinema: luogo di icone tanto sovrastanti che, a fregarsene degli stupidi (ma quanto ben interpretati!) ridicoli guerrafondai (André Dussolier e Nicholas Marié), viene spontaneo perché non una sola scena, affollata di cadeaux e cotillons possa passare inosservata.
Dirò allora dell’antefatto, di come Bazil, giovanotto sagomato Pierrot Lunaire, si trova – quelle connerie la guerre! – con una pallottola al centro della fronte, conficcata in tal modo che il chirurgo gli consiglia di tenerla lì, non può estrarla, ci deve convivere facendo le corna con il proiettile, che può farlo fuori in qualsiasi momento. Bazil, sfortunato come suo padre, saltato in aria su una mina, ce l’ha con le armi da fuoco e, nonostante il proiettile lo abbia colpito per caso, durante una rapina in cui lui se ne stava tranquillo a casa a vedere Il grande sonno, decide di vendicarsi.
“La Vigilante De L’Armament”e “Les Arsenaux D’Aubervilliers” sono sue aziende che commerciano in armi da guerra: della prima è dirigente monsieur Nicholas Thibault de Fenouillet, della seconda l’ingegnere François Marconi; sono situate nella città di Parigi una di fronte all’altra.
Prima di andare avanti, sentiamo cosa sta dicendo in un convegno l’uomo che introduce alla prolusione di Marconi:
... Nel settore delle munizioni a grappolo, abbiamo quadruplicato le nostre vendite nel Golfo. Sono diminuiti dal 7 al 9% i danni collaterali. Come sapete, non siamo mostri. Non vogliamo che nessuno muoia. Sappiamo tutti fin troppo bene che un soldato ferito è più costoso di un soldato morto! Il nostro CBS-87 spara 202 proiettili e ripulisce l'equivalente di quattro campi di calcio. Siamo stati presenti nel Golfo, in Kosovo e in Afghanistan. In breve, è il momento di chiamare in questa discussione l'architetto del nostro successo, il nostro François Marconi ...!
Marconi:
“Grazie, Grazie. Grazie tante.
Proiettili traccianti
esplosivi o perforanti
Noi abbiamo i più traccianti
i più aggressivi e performanti.
Rimbaud ha esordito come poeta,
per finire commerciante d'armi.
Beh, io farò il contrario.
Ma fino alla pensione
Continuerò a far rimare ambizione
con munizione
e riuscite con dinamite.”
“Allora”, state pensando, “altroché se il plot non è importante!”
Certo, Jean-Pierre Jeunet ha allestito un teatro di mirabilia pacifista: volevo trarvi in inganno perché Micmacs trae in inganno. All’inizio sembra il solito film di citazioni, splendidamente costruito sugli archetipi del noir (Hawks, l’affiche di Casablanca, le musiche ‘rubate’ a Max Steiner), poi irrompe, con la forza di un Jean-Louis Barrault, Bazil ed è guerra ai guerrafondai.
È la guerra del popolo dei sottoponti, del popolo dell’abisso, inventori di robot assemblati da ferrovecchio, l’uomo cannone che ha in corpo organi danneggiati da ordigni bellici, sostituiti con protesi metalliche, una contorsionista petulante, una calcolatrice vivente. Si chiamano Placard, Tambuille, Caoutchouc, Remington, Fracasse, Calculette. Vanno in guerra contro i malfattori con le armi e l’intelligenza dei bambini, ma è una guerra vera che assolda, in un visibilio di strategie da slapstick, Charlot, i Fratelli Marx, Tex Avery, macinando cinema come neppure Tarantino ha mai osato, dosando gli ingredienti meno prevedibili, al punto che Karel Zeman incontra Edgar Allan Poe, Dorè le Macchine Celibi di Duchamp in un impasto che costringe a non socchiudere mai le palpebre, una Cura Ludovico cui ci si sottopone con una complicità sconosciuta o dimenticata da tempo.
Sul gruppo di formidabili interpreti, Dany Boon, classe 1966, mimo che deve il suo pseudonimo (lui si chiama Daniel Hamidou) al Daniel Boone della Frontiera Americana, è il vero motore di un film perfetto che, a voler trovare il classico pelo nell’uovo, ha un solo limite nella generosità di un regista geniale che regala una summa delle sue opere precedenti dalla quale avrebbe potuto tirare fuori una dozzina di film – a dire poco.
La colonna sonora è irresistibile: tanghi, valzer musette, rock sixteen, canzoni balcaniche, echi di folk, fisarmoniche, pifferi, western & country, mirabilmente accorpati da Raphael Beau alle sue composizioni originali, potrebbero indurre molti spettatori a ballare in sala. In tutto lo score domina l’omaggio al grande Max Steiner con estratti musicali dal Tesoro della Sierra Madre, Il grande sonno, Le avventure di Mark Twain, La leggenda dell’arciere di fuoco, La carica dei Seicento, L’uomo dalla maschera; e per chi non si accontenta mai, estratti dalla colonna sonora di Delicatessen, Passion Flower dei Fraternity Brothers (ovvero Per Elisa pop di Beethoven), song di Jerome Kern & Oscar Hammerstein, e per finire l’adagio dal Concerto per clarinetto K. 622 di Mozart.
Ancora una volta, Jean-Pierre Jeunet serve Delicatessen.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta