Regia di Jean-Pierre Jeunet vedi scheda film
Si esce dalla visione di un film di Jean Pierre Jeunet piacevolmente sconvolti, piegati da quella sua attitudine a caricare ogni fotogramma di suggestioni fiabesche, facendo ricorso a frequenti trucchi digitali che trasformano le immagini rivestendole di colori e di emozioni tra il surreale e l'inquietante. Il cinema di Jeunet è personale e sorprendente al punto che non è facile attribuirgli una collocazione. Sono passati parecchi anni da quel "Delicatessen" che mi vide spettatore entusiasta, e molti meno da quell'imprescindibile capolavoro pop che era "Il favoloso mondo di Amélie", quest'ultima sicuramente la sua opera più nota assieme a "Una lunga domenica di passioni", gioiello antimilitarista sottovalutato dalla critica. Nelle interviste promozionali che hanno accompagnato l'uscita italiana di "Bazil", Jeunet ha ribadito alcuni concetti circa le intenzioni che lo guidano e le proprie matrici artistiche. Per esempio le sue origini di bambino povero la cui vita è stata salvata da una fantasia debordante che lo ha spinto ad edificare un mondo parellelo. Già, il mondo di Jeunet. Popolato di visi davvero speciali, facce che (è un accostamento che sa di blasfemo, lo so) mi piace accostare a quelle di Fellini, spesso altrettanto curiose e bizzarre, ma qui filtrate attraverso una sensibilità estetica tutta coniugata "al francese". Una cosa mi ha colpito, estrapolata da quelle recenti interviste cui accennavo. Egli ha cioè sottolineato la propria totale devozione verso il cinema-Pixar (da me peraltro fortemente condivisa). Capacità di raccontare storie utilizzando una vena fantastica-fiabesca che riesce ad innalzarsi a livelli di pura (benchè stralunata) Poesia: ecco cosa accomuna il mondo di John Lasseter a quello di Jeunet. E che cosa sono le vite di Amélie Poulain e di Bazil se non due meravigliose favole calate nella realtà quotidiana di due persone non certo appariscenti, anzi diciamo pure due esserini invisibili e naif. Un film pirotecnico, a suo modo complesso e perfino spettacolare, ma senza mai tradire un animo gentile di fondo, una delicatezza dei sentimenti e soprattutto la solita straordinaria tendenza dei protagonisti jeunetiani a stupirsi come bambini di fronte alle cose piccole e grandi della vita. E non insisterei più di tanto sulla valenza morale dell'opera, genialmente e radicalmente antimilitarista, perchè questa vena satirica può essere solo goduta al cinema e non banalizzata con parole che suonerebbero retoriche. La cosa che più mi ha colpito del film? Senz'altro la indescrivibile galleria di personaggi che popolano una comunità di barboni-rigattieri che accolgono a braccia aperte uno sperduto Bazil salvandolo da una deriva di rassegnata solitudine. Ecco, posso dire che l'umanità infinita di queste persone "invisibili", le loro follie, le loro debolezze...tutto ciò mi ha commosso. Il cinema di Jeunet, e questo film più che mai, straborda di omaggi alla Settima Arte, evidenti già dalle primissime sequenze che vedono il protagonista ripetere a memoria le battute di Bogart e Bacall ne "Il grande sonno". Bazil è uno stralunato incrocio di Chaplin, Buster Keaton e Jacques Tati. Senza escludere, proprio per richiamarci alle recenti dichiarazioni dello stesso regista, qualche tocco di poesia in chiave Pixar. Ma già che ci siamo, io infilerei in questo calderone di nobili ispirazioni anche il cinema muto e i cartoons di Tex Avery. E a questo punto non resta che tributare un caloroso omaggio a una schiera di caratteristi bravi da far paura. Ma prima è doveroso citare i due protagonisti famosi. Un mito della cinematografia francese come Andrè Dussolier. E poi quel prodigio d'attore che ha il viso impagabile di Dany Boon, clamoroso caso di comico capace di coprire diverse gamme umoristiche, avvalendosi ampiamente di infinite possibilità mimiche e lavorando molto sul proprio corpo. In fondo il merito di Boon è quello di aver saputo rendere straordinariamente moderna la più classica delle maschere, quella del clown malinconico. Accennavo prima ad un manipolo di portentosi caratteristi, che rappresentano un onore per il cinema francese. A partire dal meraviglioso "vecchio-con-barba-bianca" Jean Pierre Marielle (un attore che seguo con ammirazione da anni). Oppure la romantica esuberante contorsionista Julie Ferrier (una rivelazione). O anche il burbero "uomo dei record" Dominique Pinon (peraltro attore feticcio di Jeunet). Un film che fa sorridere e stare bene: vi pare poco? E alla fine quei clochards-rigattieri che vivono in un tunnel sotto il mondo ti sembra di conoscerli da sempre...quasi fossero tuoi amabili vicini di casa. PS: Il titolo italiano fa davvero schifo. Quello originale, anche se ignoro cosa voglia dire, fa invece simpatia: "Micmacs à Tire-Larigot".
Voto: 10
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