Regia di Valérie Donzelli vedi scheda film
Adèle è rimasta sola, abbandonata da chi aveva eletto a compagno per la vita, Mathieu. E se non si muore per amore, la giovane rischia il soffocamento: prolunga la propria agonia sbagliando e perseverando, con uomini che rappresentano diverse tipologie, ma hanno un unico volto. Quello di Mathieu. Delizioso aggiornamento dei racconti rohmeriani all’immaturità sentimentale dei 30enni odierni, La reine des pommes è un saggio di acume e levità di scrittura, capace di lavorare sugli stereotipi, con la consapevolezza di un cinema in cui ogni fotogramma annuncia di aver già visto tutto, ma non per questo rinuncia a reinventarsi. Come e più di Honoré, come e più di Ozon, la Donzelli rifiuta di trastullarsi con metariflessioni e citazionismo, ma, semplicemente, usa il cinema per ripensare la vita. Così il suo esordio nel lungo coreografa un balletto leggiadro su passi Nouvelle Vague, con protagoniste maschere dolcemente grottesche, struttura su un intreccio da pochade (con vizi e virtù d’oggi) che sogna come fosse Jacques Demy. E se sa cogliere piccole, stilizzate verità, è anche (soprattutto) per l’urgenza autobiografica che lo fonda (lo scopo: sublimare la fine di una storia amorosa).
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