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Matango il mostro

Regia di Ishirô Honda vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Matango il mostro

di Donapinto
7 stelle

Sorpresi da una terribile tempesta, uno yacht con 7 persone a bordo (5 uomini e 2 donne) e' costretto ad approdare su un'isola inospitale e apparentemente deserta. I naufraghi trovano anche un grosso veliero arenato sulla spiaggia, senza alcuna traccia dell'equipaggio. Inoltre sull'isola cresce una sconosciuta e stranissima varieta' di funghi...                                                                                                                                                Dopo il cult GODZILLA diretto nel 1954, il regista Inoshiro Honda diede vita a una lunga serie di film popolati da ridicolissimi mostri-pupazzoni che si esibivano talvolta in ridicoli balletti e in improbabili mosse di arti marziali, distruggendo modellini in scala ridottissima della citta' di Tokio. A produrre il tutto era la Toho, casa di produzione nipponica di cui da bambino feci una gran scorpacciata delle sue "indimenticabili" creazioni. Con MATANGO IL MOSTRO, il regista Honda sembra recuperare quel talento perso dopo la realizzazione del primo GODZILLA, con un'opera bizzarra e strampalata, ma al contempo originale, ben recitata e con buoni dialoghi. Con il consueto budget ridottissimo, il regista sembra abbandonare le tematiche sulla radioattivita', senza pero' rinunciare a quelle sulla mutazione. Il meglio della pellicola sta nell'ambientazione suggestiva, angosciante e carica di mistero dell'isola perennemente avvolta nella nebbia e con le acque costantemente agitate. Perfetta la ricostruzione dello spettrale veliero con le vele ormai logorate e consumate, gli interni fatiscenti e invasi dalla muffa e senza alcuna traccia dell'equipaggio, oltretutto con la totale rimozione di tutti gli specchi presenti a bordo. Suggestiva anche l'atmosfera psichedelica creata nella zona dell'isola dove sono presenti i funghi che vivono di una vita propria, tanto da sentirli persino ridere. Il film potrebbe essere letto, un po' troppo semplicisticamente, come una merafora sull'uso di droghe che stava probabilmente prendendo piede in un Giappone ormai occidentalizzato. Ritengo che Honda fosse piu' interessato a mostrare la deriva capitalistica del suo paese in un periodo probabilmente di grande crescita economica, con i suoi pro e i suoi contro, benessere da una parte, ma egoismo e individualismo spietato dall'altra.I naufraghi, a parte lo skipper e il suo marinaio, appartengono alla classe agiata della citta' di Tokio: un giovane professore, uno scrittore, una studentessa universitaria e un ricco uomo d'affari con la sua bella, ambiziosa e cinica fidanzata, rappresentanti del nuovo e democratico Giappone. Il pericolo non sono tanto le inquietanti presenze che si muovono sull'isola, ma la totale mancanza di cooperazione e di gioco di squadra che serpeggia tra i naufraghi, talmente avidi da dare ancora importanza al denaro in una situazione dove il denaro non puo' comprare assolutamente nulla. Nel finale l'unico sopravvissuto lamenta il fatto di essere riuscito ad abbandonare l'isola, se ci fosse rimasto forse sarebbe stato piu' felice, come forse lo sono i suoi deformi abitanti. Un film che potrebbe far sorridere qualcuno visto oggi, ma che io reputo attuale e tutt'altro che datato, nonostante il basso budget e magari qualche ingenuita'. Senz'altro meritevole di una riscoperta.

 

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