Regia di Cesare Canevari vedi scheda film
Questo hippie western ci dimostra che la bandiera del low budget può essere sventolata con sontuosa eleganza: la sobrietà non è, infatti, nemica della pepata fantasia della pop art. Questo scanzonato cinema degli stracci colorati e della chincaglieria da mercatino delle pulci realizza il perfetto equilibrio tra avanguardia d’autore e trash commerciale: una via di mezzo che l’equidistanza dagli estremi rende autenticamente libera. La classica trama basata su scontri tra banditi e bottini contesi è soltanto un grossolano canovaccio, su cui Canevari ricama estrosi frammenti di visione, giocando con la macchina da presa come in una meditazione spazio-temporale condita da elementi allucinatori. Il suo sguardo abbandona ripetutamente il filo del racconto per indugiare ad occhi sbarrati su particolari curiosamente estranei ed insignificanti: questo feticismo del dettaglio fa pensare all’effetto deformante provocato da una sostanza psicotropa, o a quella degenerazione maniacale del simbolismo che sta alla base delle culture dei graffiti e dei tatuaggi. La regia di questo film sembra voler proporre, in immagini, quel fenomeno linguistico che trasforma un’emozione in logo: un processo di sintesi che nasce dalla combinazione di stilizzazione ed enfasi, e si sofferma insistentemente su un soggetto fino a che i tratti individuali si consumano e rimane, in superficie, solo il marchio a fuoco di un’impressione indimenticabile. La caleidoscopica energia di Matalo! è quella che tritura le convenzioni per dar forma agli slogan: è un poetico ingranaggio che rappresenta, in versi sciolti, la scoppiettante fucina della rivoluzione. Non a caso sceglie, come ambientazione, il Far West, che è territorio di frontiera e conquista, regno di conflitti e di assenza di regole, in cui si la storia si crea dal nulla, tra popoli in cerca di un’identità, ed entro confini che aspettano ancora di essere disegnati.
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