Regia di Alberto Momo, Maicol Casale vedi scheda film
Nella Torino industriale l’architettura di Elio Luzi appare come un’arguta parentesi di artigianato piccolo borghese. Alla produzione seriale delle grandi fabbriche si contrappone un’edilizia pezzo per pezzo che crea isole di briosa diversità in mezzo alla severa planimetria del reticolato urbano. Questo artista pratica una sorta di poesia della disaggregazione, che realizza nel calcestruzzo la disparità e le sproporzioni tipiche di ogni microcosmo, di ogni comunità umana. Il desiderio di rompere la simmetria dell’ordine per assecondare la molteplicità delle voci discordanti è il principio ispiratore di questo nuovo modo di concepire il caseggiato: un mosaico di elementi autonomi e disallineati che riproduce la vivace varietà delle personalità che lo abitano. Elio Luzi ricostruisce, all’interno della città, il modello del paesino, del presepe, dell’agglomerato di muri, tetti e finestre cresciuti spontaneamente come un cespo selvatico, eppure uniti dalla pittoresca lirica dell’improvvisazione, che governa, da sempre, i passi di quella “roba maleducata” che è l’amore.
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