Regia di Oliver Stone vedi scheda film
Un film di Oliver Stone si riconosce dalla prima scena. Qui il protagonista Jacob “Jake” Moore si sveglia di primo mattino e parla in faccia alla sua bella Winnie senza quella fiatella acida capace di sciogliere le otturazioni dei denti, tipico delle persone normali. Lui è un giovane broker d’assalto di Wall Street che vive in un loft col parquet che ospita anche la sua moto (mi domando come farà a portarla giù), lei è la figlia di Gordon Gekko che ha rimosso il passato e che dirige un blog di sinistra e ha un facciotto dimesso da cagnolino abbandonato legato in corsia di sorpasso sulla A1.
Stone è così, sovrabbondante.
C’è stata un’ellissi temporale dal 1987, quando i piccoli risparmiatori di tutto il mondo, complice Gekko, scoprirono che esisteva un reato chiamato insider trading. Poi nella realtà sono arrivati i crack, i Tanzi e i Madoff e infine la bolla speculativa dei mutui subprime e il crollo delle banche d’affari che costruivano soldi gonfiati d’aria compressa. L’ellissi cinematografica si chiude nell’inquadratura del telefonino di Gekko che esce dal carcere, direttamente da un’altra epoca in cui si cominciava a sognare la comunicazione globale e internet era ancora una chimera. Il telefonino è assimilabile ad un boiler con l’antennona. La differenza col primo film di Stone è che quello è arrivato prima, questo è arrivato dopo il crollo, quando i piccoli risparmiatori di tutto il mondo il significato di mutui subprime, swap e option l’avevano già capito direttamente sulla loro pelle.
Però, sorpresa: Wall Street – il denaro non dorme mai, a parte il pessimo sottotitolo (per una volta originale) è un buon film che ritorna a pescare nel torbido delle relazioni tra chi muove i fili dell’economia mondiale, talmente fuori dalla vita comune da sembrare alieno. E’ un potente racconto d’avidità e potere alla Oliver Stone, eccessivo e caricato di pathos, di messaggi, di leggi, peccati e contrappassi. Visivamente denso di senso filmico e dalla fotografia scintillante che nulla nasconde dei particolari che contribuiscono a veicolare il messaggio di cupidigia e spregiudicatezza del mondo finanziario. Dall’ uso insistito di split screen e tendine, chiusure a iride e un montaggio ritmico, martellante che ha il compito di sintonizzare lo spettatore sul “tempo reale” nel quale le vicende si svolgono, moltiplicando e sovrapponendo azioni e frazioni di scene, movimenti di macchina e zoom, mimando con il linguaggio cinematografico la frenesia dell’era delle informazioni, dati che viaggiano come su grande corsie autostradali ad esclusivo appannaggio di pochi.
Questo è il cinema “grasso” di Stone, muscolare, denso di epica, sfacciata retorica e sovraesposizione di sentimenti. Denaro e etica, buoni e cattivi, sinistra e destra, petrolio e energie rinnovabili, Wall Street – il denaro non dorme mai è un film di opposti speculari nel quale Gordon Gekko – un sofferto Michael Douglas drammaticamente in parte quando definisce l’avidità come un cancro- il vecchio squalo che smembrava realtà per farne righe contabili, si trova a fare la parte dell’ambiguo finanziere in bilico tra ciò che è e ciò che dovrebbe fare. E forse è l’unico ad avere uno spessore drammatico reale, personaggio al quale vengono riservate le migliori battute del film. Sembra in effetti che tutto sia costruito per spiegare cosa sia successo al mondo con la crisi e la caduta della Lehman bros. (la vicenda della banca fallita ricalca in pieno quella della realtà) visto dagli occhi dell’avido speculatore protagonista di vicende analoghe 23 anni prima e il tutto valutato per differenza.
Tra i pinocchi della finanza nel paese dei balocchi, il personaggio di Gekko è il grillo parlante, la coscienza svuotata di sentimento, una voce off che catalizza e chiarifica i meccanismi del fabbricare soldi nella stratosfera dei capitali mondiali. E’ lui che spiega – ironia – cosa sia il cosiddetto rischio morale.
Il film si estrae dalla logica del documentario per agganciare gli eventi ormai arcinoti a tutti ad una storia intima di amore filiale e spendere la morale della famiglia come unico nucleo civile in grado di cambiare lo stato delle cose. Il ritorno a scommettere sulle cose concrete della vita sembra essere l’unico modo per sopravvivere alla società che abbiamo costruito. Sceneggiatura granitica scandita nella forma più classica del viaggio dell’eroe e del successivo ritorno al focolare nella quale si compie la parabola discendente di Jake - Shia LaBeouf - il nuovo rampollo che inizia la storia su un grattacielo la finisce in una strada.
Messaggio forte al quale Stone si aggrappa per esporre la retorica del degrado morale che cementa lo squallore delle piramidi finanziarie senza però ergersi sul piedistallo dei giusti. Come dice Gekko, l’avidità è legale ed è di tutti. Il male si ricicla e si rigenera, ogni bolla smuove l’evoluzione verso uno scalino, che sia più alto o più basso è tutto da definire. Dalla bolla cambriana di 5 milioni di anni fa, alla bolla dei tulipani olandesi, alla bolla di internet fino alla bolla dei mutui. Nulla cambia, nel mare dei soldi i pesci piccoli rimangono piccoli e gli squali rimangono squali. La salvezza ipotizzata è delicatamente contenuta nella fragilità dell’ultima inquadratura. Una bolla ci salverà, forse. La risposta soffia nel vento, direbbe Bob Dylan.
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