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Afterschool

Regia di Antonio Campos vedi scheda film

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La recensione su Afterschool

di Kurtisonic
5 stelle

Aterschool  descrive le conseguenze del rapporto tra giovanissimi e il consumo indiscriminato di immagini.  L’ accessibilità elementare alle nuove tecnologie e  ai canali di comunicazione sono evidenti filtri della realtà che lo schermo  restituisce in maniera violentemente  distorta, il film del giovane esordiente Antonio Campos  però non fa un’analisi  ramificata ma si focalizza sul punto di vista esclusivo del giovane protagonista, Robert studente in una prestigiosa scuola americana. Attratto e condizionato da tutto ciò che attiene al video riprende casualmente la morte di due studentesse, gli verrà dato l’incarico di realizzare un filmato commemorativo  come applicazione delle attività extrascolastiche.  A dispetto del titolo, l’elemento scuola intesa come ambiente su cui ruota l’esistenza dei ragazzi fatica ad entrare in scena poiché  Campos adotta quella ripresa finto amatoriale che ricreando immagini tagliate e incomplete fornisce la visione del mondo di Robert claustrofobicamente ridotta alla parzialità delle immagini di cui si nutre. Escluso dunque non solo il mondo degli adulti ma di chiunque altro, così che il film si infila dall’inizio in un buco nero da cui è difficile sottrarsi. Niente a che vedere con lungometraggi  del genere drammatico scolastico quali L’onda (2008) o  il recente Class enemy (2014), saremmo più vicini  forse allo sguardo del protagonista di  Paranoid park  (2007) se  Afterschool non risultasse sgradevole e disturbante e del tutto privo dell’ estetica  raffinatissima  di Van Sant, ma soprattutto  il film di Campos  sembra un epigono minore di Benny’s video (1992) di Haneke con la tendenza a teorizzare senza  troppo impegno. Se però nel lavoro del maestro austriaco la denuncia  della violenza dell’immagine e la sua morte conseguente viene esplicata  con una ricostruzione meticolosa che arriva fino a coinvolgere la volontà dello spettatore, mettendo in luce la responsabilità sociale di ciò che accade, in Afterschool emerge oltre che un’indiscutibile bravura nella gestione e nell’approccio formale,  una certa immaturità (se non un’insincerità di fondo)  che occlude altre riflessioni che non quella facile a cui il regista tende. Un conto è l’intenzione di semplificare e di porre attenzione sul materiale visivo che indicano una volontà etero diretta dalla finalità pedagogica fin troppo esplicita, ma se il racconto non contempla una stratificazione narrativa che qui resta costantemente fuori campo o del tutto assente, la capacità analitica dello spettatore viene percepita come non richiesta. Il confinamento psicologico in cui Robert trova la sua dimensione  non viene mai messa a confronto con una realtà che se possiamo dedurre abbastanza verosimile  diventa un esercizio di maniera o uno stratagemma di distrazione. Dai genitori invisibili  agli amici perfidi e insinceri, dalle autorità scolastiche tese alla protezione della rispettabilità della scuola allo psicologo che non esita a tradire il segreto professionale, tutto appare allineato alla tesi del film.  L’esposizione all’immagine cancella valori, emozioni, identità, tutto diventa a loro subalterno. La sgrammaticatura delle riprese sono chiare in merito, mdp sempre puntata a mezz’altezza, di solito risultano tagliati i volti, angolazioni esasperate, dettagli sempre mirati a momenti che hanno a che fare con sesso  e violenza.  Mentre un film discretamente indagatore sullo stesso argomento, Disconnect (2012) riusciva a mediare realtà e danni del virtuale,  in Afterschool  il suo giovane protagonista viene fagocitato dalle immagini in cui si ritrova, dall’esterno vede un altro sé  che compie azioni che non controlla più ma che assumono il peso di una verità destinata a rimanere nascosta. L’indifferenza, l’angoscia,  la paura di vivere sembrano potersi  disperdere nel flusso continuo di immagini che però come detto sono manipolate verso la passività, innescando un effetto catartico che relegano il film come prodotto dal forte contenuto malato ma non in grado di  proporre una riflessione su di un mondo, quello dell’adolescenza e gli strumenti di condizionamento, che meriterebbe un’analisi  più bilanciata.

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