Regia di Michael Winterbottom vedi scheda film
Il film è così lento da lasciare alla noia tutto il tempo che vuole. E anche al pensiero, consentendoci di riflettere, istante per istante, su quanto la regia sia vuota di ispirazione e piena di convinto autocompiacimento. Tutto, in questo thriller in stile finto far west, è improntato ad un manierismo che copia senza capire, tanto che perfino il monologo intimistico suona, da fuoricampo, come una pubblica lettura con scarsa intonazione. Winterbottom forse ritiene che, per sembrare veri yankees, basti mangiarsi le parole e masticar tabacco, addentare un sigaro ed indossare un cappello da cowboy. Il protagonista Casey Affleck è talmente calato nel ruolo dello sbruffone da sembrarlo in quanto attore, mentre percorre la presunta deriva criminale di un personaggio che uccide a ripetizione senza lucidità né follia, in un misto di impeto e premeditazione che confonde le idee. Al di fuori delle volgari e sbrigative scene di violenza omicida, il suo ostentato distacco dalle proprie azioni si mescola con il plateale scollamento del regista rispetto al testo letterario, di cui egli riproduce la storia senza coglierne minimamente lo spirito originale (qualunque esso sia), né tentare di inventarne uno proprio. In questo The Killer Inside Me mancano l’analisi psicologica, la coloritura emotiva, la tensione narrativa, mentre la storia, in assenza di ogni evoluzione o approfondimento, segue tranquilla la strada della perfetta prevedibilità. E così, anche di fronte all’onnipresenza della morte, quest’opera, armata di una buona dose di presunzione, si produce nell’assoluta incapacità di concepire, anche solo lontanamente, la struggente anima del dramma.
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